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ADOLFO ROSSI RICORDATO A PADOVA ALLA CASA DI CRISTALLO
Un grande del Polesine - Adolfo Rossi - a settantacinque anni
dalla sua morte, verrà ricordato lunedì 25 novembre alle ore 17,
alla "Casa di Cristallo" patavina, nel quadro delle conferenze promosse
dalla cattedrattica Antonia Arslan. A parlare del giornalista e diplomatico
saranno la scrittrice Grazia Giordani, che traccerà un profilo storico
e umano dello scomparso, e Lino Segantin che ha rieditato - per i tipi di Turismo
&Cultura - il romanzo "Un italiano in America", dello scrittore
che ha chiuso i suoi giorni, ministro plenipotenziario a Buenos Aires, sessantaquattrenne,
all'apice della carriera diplomatica.
"La vita di Adolfo Rossi - ha anticipato per noi Grazia Giordani - è
più avventurosa di un romanzo : questo intraprendente lendinarese, appena
ventunenne, nel 1879 è emigrato in America, lasciando la sicurezza in
patria di un piccolo impiego, per tentare la fortuna con pochi soldi in tasca
e tanta speranza nel cuore. Dopo indicibili peripezie di piccoli lavori, entrerà
nel giornalismo americano collaborando a "Il Progresso italo-americano"
di cui diverrà corrispondente. Nel 1884 rientra in Italia già
giornalista provetto e negli anni che corrono tra l'84 e il 901 collaborerà
anche al Corriere della Sera", lodato per lo stile stringato ed anglosassone,
di giornalista che verifica sempre di persona. Inviato di guerra tra il 1885
e l'86 nella campagna d'Eritrea, spedirà servizi ripubblicati dal "Corriere"
anche cento anni dopo per commemorail centenario della testata. Il 1992 è
una data importantissima nella vita di Rossi che lascia - all'apice della carriera
- il giornalismo attivo per entrare in diplomazia : la sua è una salita
prodigiosa, da batticuore che lo vedrà nel 1906 Commissario per l'Emigrazione,
e attraverso i gradii intermedi, rapidamente valicati, ministro plenipotenziario
a Buenos Aires. E' stato un giornalista coraggioso e attento anche ai fatti
del Polesine, con inchieste memorabili, e un diplomatico generoso, paladino
sempre dei connazionali più deboli e meno fortunati".
Alla fine dell'incontro padovano, parleranno anche la pronipote di Rossi Marta
Maggi dall'Acqua e Renzo Ferlini, presidente dell'associazione
"Polesani nel mondo".
Mara Verzaro
ADOLFO ROSSI
A creare in me un particolare coinvolgimento -
nell'accingermi ad illustrarvi la figura e l'opera di Adolfo Rossi - hanno concorso
fattori non soltanto culturali di ammirazione nei confronti di questo grande
del Polesine, ma anche umani, oserei dire sentimentali. Rossi è stato
il prozio di Marta Maggi, mia compagna di banco, nei beati anni del liceo, e
si è prefissa di continuare l'opera della sorella Grazia, che non è
più fra noi, attenta alla memoria dell'illustre parente, redattrice di
una puntuale biografia.
Ed è proprio a questa biografia e al mirabile saggio dello studioso lendinarese
Pier Luigi Bagatin che noi ci atterremo e ci varremo in questo nostro incontro.
Per motivi sentimentali, dunque dicevo, rafforzati dal fatto, che proprio in
occasione di una visita alle sorelle Maggi, ho potuto vedere le foto di famiglia
e sono rimasta profondamente turbata dall'intimo messaggio che sembrava uscire
ed esalare da quei cartoncini, gelosamente conservati : era come se frammenti
di vita di Rossi e dei suoi familiari, uscissero allo scoperto per noi. Ritratti
d'epoca, squarci di intimità di una famiglia unita, composta un po' rigida
nel look ottocentesco : sei figli in tenera età, una moglie dai lineamenti
fini e per niente appesantita dalla maternità, un Rossi-padre in abiti
borghesi, padre felice, e un Rossi in caricatura, riprodotto nelle pagine di
un quotidiano americano, mentre cerca di vedere alla lente d'ingrandimento,
quali posano essere lew necessità di un emigrante italiano. E Rossi lui
stesso caricaturista di deliziose vignette, sapide e piene di brillante autoironia,
quasi un diario della sua escalation da emigrante, a giornalista di piglio anglosassone,
a inviato di guerra, inviato sul brigantaggio, vignette che sottolineano piacevolmente
le tappe avventurose della sua romanzesca esistenza.
Nato nel 1857 a Lendinara da una famiglia medio-borghese, Rossi aveva dovuto
accontentarsi di un lavoro modesto di impiegato postale. Giovani meno ambiziosi
di lui, sarebbero stati se non felici, soddisfatti di questa collocazione in
mezze maniche, ma Rossi no ; morde il freno, sente il Polesine del suo
tempo come un abito stretto, pur amando la sua terra. Quello che mi piace soprattutto
in lui, è lo strano connubio di equilibrio e trasgressione. Vedremo come
sarà paladino dei deboli, fautore di giustizia, e nello stesso tempo
amante del rischio, volando in mongolfiera e inabissandosi in batiscafo. Insomma
non è un uomo comune, in lui vibra fin dagli anni giovanili un sacro
fuoco dell'ardimento.
Alberto Mario gli è maestro, lo esorta, lo consiglia e in una lettera
conservata nella biblioteca lendinarese, gli scrive :
"Ella mi chiede consiglio sugli studi suoi. Le darò quello che Foscolo
dava agli italiani : si nutra di studi storici. S'attenga a pochi libri, ma
che siano di prim'ordine e s'eserciti indefessamente nella lingua nostra, difficilissima
sopra tutte. Legga le pubblicazioni di Fanfani per guardarsi dai gallicismi,
dai neologismi e dalle forme false onde siamo infestati dalla prosa dei giornali...".
Non ancora ventiduenne, il nostro irrequieto ragazzo, smania, non sopporta l'annoiata
sicurezza del piccolo travet e il 4 agosto del 1879, "saluta il
campanile"
della sua Lendinara e si imbarca per la grande avventura americana.
Sarà il collega Segantin - che ha curato la riedizione del libro - ad
entrare nel merito dettagliato di Un italiano in America. Preferisco
quindi fare un salto ardito e portarvi al 1902, anno in cui il giovane polesano,
divenuto nel frattempo stimato giornalista, scriverà un rapporto molto
dettagliato sulle condizioni penose dei nostri emigranti in Brasile, e precisamente
sul Bollettino dell'emigrazione. Rossi mise in atto la sua inchiesta con metodi
molto intelligenti e moderni, recandosi sul posto in incognito, viaggiando con
gli stessi emigranti, condividendo la loro vita, facendo esperienza sulla sua
stessa pelle : ne esce un quadro di uno squallore agghiacciante ; la stampa
brasiliana è feroce contro il giovane che ha osato mettere il dito nella
piaga delle sopraffazioni, alla ricerca di garanzie e protezione per l'emigrante.
Già nel 1891 Rossi aveva denunciato l'assoluta inerzia dello stato italiano.
Nei confronti delle comunità dei connazionali in America e fu lì
che emersero anche le sue brillanti doti di giornalista, redattore e unico corrispondente
del "Progresso italo-americano". Possiamo così conoscere anche
qual è il vademecum del giornalista per il nostro italiano che afferma
: "Il giornalismo vuol dire lotta, emozioni quotidiane,(...) semel abbas,
semper abbas". E' come dire che il giornalista, una volta unto dal
sacro crisma del vedersi stampato, non riesce più ad uscire da questa
sua prigionia psicologica che lo fa essere giornalista per sempre.
Al suo rientro in Italia, nel 1884, Rossi era ormai un giornalista provetto,
acuto nei giudizi, disincantato nel fare confronti tra l'Italia del suo tempo
e l'America.
Fu proprio negli anni che corrono tra l'84 e il '901che lo si vide collaboratore
del "Messaggero" , della "tribuna", del "Corriere della
Sera", dell'"Adriatico" di Venezia, di cui fu vicedirettore,
e del "Morning Post" di new York.
Aveva le qualità dinamiche del giornalista moderno che si serviva del
telegrafo (corrispondente, per i tempi al nostro fax), dell'inviato che non
arretra davanti al pericolo, dell'uomo di coraggio che sperimenta in prima persona.
Alcuni suoi reportage vanno soprattutto sottolineati, come quelli sui luoghi
del pericoloso brigante Tiburzi alla macchia nel viterbese ; quello sull'epidemia
di colera a Napoli (1884) e in Germania (1892) ; sui fasci siciliani (1893)
; sulle condizioni della manodopera nelle acciaierie di terni e sulle vicende
del boulangerismo in Francia.
Come inviato del Corriere della Sera, seguì la campagna d'Eritrea (1895-96),
anno in cui venne espulso per aver criticato il comportamento del generale Baratieri.
A questo proposito dobbiamo ricordare che cento anni appresso il giornale ha
voluto sottolineare il suo centenario ripubblicanto a tutta pagina servizi di
Adolfo Rossi da Macallé e io conservo copia dell'Articolo che mi è
stato inviato con altri preziosi documenti, dalla pronipote Marta Maggi.
Molti dei reportage di guerra e degli articoli furono ripubblicati sotto forma
di memoriale, ed ebbero grande risonanza, per lo stile asciutto che non indulge
al colore, che non spreca aggettivi o fa illazioni : Rosi è un giornalista
dei fatti accertati, non gonfia, non enfatizza ; va sul posto e scrive con prosa
incisiva e veritiera.
Politicamente lo possiamo collocare in area progressista, ma più moderata
di quella del suo maestro Alberto Mario, senza gli aculei e gli strali anticlericali.
Nel 1902 abbaondonò il gfiornalismo militante ed entrò nel Commissariato
per l'Emigrazione, nell'inchiesta sui coloni italiani di San Paolo, con la nomina
di ispettore viaggiante.
L'anno successivo, nel 1903 andò nella colonia del Capo per verificare
le condizioni dei nostri emigranti che lavoravano nelle miniere del Transvaal
; nel 1904 a New York e a san Francisco, e quindi a buenos Aires, a Rio de janeiro
e ancora a New York, dove collaborò all'istitruzione del primo ufficio
di collocamento per gli immigrati italiani ; nel 1906 fu nominato Commissario
all'emigrazione ; in quello stesso anno a new York fu avviato l'Investigation
Bureau, volto all'assistenza legale per gli emigranti italiani. Il 1908 è
un anno importante per l'escalation diplomatica di Rossi, nominato Console reggente
a Denver (Colorado) e l'anno seguente console generale di Ia classe. Tra il
912 e il 914, console onorario a santa Fè ; alla fi8ne del 14 ministro
residente ad Assuncion (Paraguay) e nel 1919 ministro plenipotenziario a Buenos
Aires. E qui - sessantaquattrenne - chiuse improvvisamente i suoi giorni.
Le sue spoglie furono rimpatriate e trovarono sepoltura accanto a quelle degli
amati Alberto Mario e della moglie Jessie White.
La sua morte ebbe grande risonanza sulla stampa nazionale ed estera, con laudative
sottolineature per la sua statura di uomo che si era fatto da solo, autodidatta,
coraggioso, intelligente e trasgressivo, nel senso positivo della parola.
ROSSI E IL POLESINE
1) Nel 1889, Rossi scriveva per la Tribuna di Roma, ed intervistò
la vedova di Alberto Mario e in cui colse l'occasione per un'inchiesta sociale
sulle condizioni degli abitanti di Villanova del Ghebbo, documento incisivo
e veramente pieno di partecipato sdegno per lo stato di indigenza della popolazione,
tanto povera da non avere nemmeno di che alimentarsi e di che sopravvivere.
Rossi descrive una tredicenne ammalata, che giace al freddo sul pavimento, e
la gente dei "casotti" di Valdentro - peggio che baraccati - ci appare
fotografata dalla penna asciutta del giornalista che non cade nella facile tentazione
di fare della retorica deamicisiana e del colore. Proprio per questo non mi
sembra appropriato, riguardo a Rossi il commento di Giuseppe Prezzolini che
nel 1960, parlando di Rossi sottolinea la retorica dell'emigrazione e
parla di uno stile deamicisiano. Non direi proprio.
2) Nel 1895 Rossi si occupa nuovamente del Polesine - corrispondente del Corriere
della Sera, appena rientrato dall'Eritrea, con una serie di servizi sul risveglio
del movimento cattolico nel Veneto, sottolineando la recentissima fioritura
elle Casse Rurali.
Nel 1901 realizzò un'ultima serie di servizi sul Polesine, poco prima
di assumere l'incarico per l'inchiesta in Brasile. Argomento : le leghe di miglioramento
fra i contadini. Leggendo questi suoi servizi siamo attratti dalla chiarezza
con cui riporta cifre, numeri, confronti e abbiamo l'impressione di tastare
il polso della situazione socio-economica del Polesine al cadere dell'800.
Grazia Giordani