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Figlio mio quanto mi costi
Qualcuno si è messo a dire che la famiglia
italiana ricopre in maniera discreta e silente - nella maggior parte dei casi
- il ruolo di "ammortizzatore sociale", mantenendo a caro prezzo milioni
di giovani disoccupati, mentre lo Stato sta a guardare inerte e magari aumenta
anche le tasse.
I figli, insomma, non sono soltanto piezzi 'e core, come direbbero i
nostri fratelli partenopei, ma anche costose tessere di quel mosaico che fa
essere la Famiglia italiana un'istituzione assistenziale, l'unica anzi, in costante
espansione. A darci autorevole conferma è l'Istat - l'istituto centrale
di statistica - che si è occupato dei giovani che non volano fuori dal
nido e vi restano, spesso, finché giovani non sono più. E la percentuale
di questo anomalo fenomeno aumenta al punto che oggi sei giovani su dieci (tra
i 18 e i 34 anni) continuano a vivere sotto il tetto paterno. E ad usufruire
- senza contribuire in nessun modo - di tutti i servizi (luce, telefono, riscaldamento,
lavanderia, abbigliamento, libri, svaghi, vacanze e, non ultima, la ristorazione),
in proporzione, e talvolta in sproporzione, alle possibilità familiari.
Il favoloso Nord-Est sembra essere la zona principe del fenomeno. Quindi anche
noi, cauti polesani - magari in punta di piedi - ci siamo dentro e contribuiamo
a dare il nostro "obolo" alla statistica, non proprio fra le più
lodevoli e da prendersi a modello di costume. Affetti ed economia, nei canoni
della tradizione, sembra cospirino ad alimentare questo fenomeno di eterni cuccioli
fuori età. CI sono sociologi che sostengono essere il doppio lavoro del
padre a far quadrare i conti di casa. Sembra che i bi-occupati siano dei competitori
eccezionali sul mercato del lavoro, producendo il 15 per cento del prodotto
interno lordo dell'Italia e una parte di questa ricchezza va quindi a ripianare
l'economia familiare.
La rivista Polis (edita da Il Mulino) pubblica una ricerca accurata sui "costi
dei figli", da cui risulta che una famiglia senza prole, con una spesa
mensile di 3,1 milioni e che volesse mantenere il suo tenore di vita con un
bambino, dovrebbe disporre di 940 mila lire in più al mese. Se poi si
passa ad esaminare il caso di un ragazzo di età superiore ai 6 anni,
si arriva all'aggiunta di 1 milione e 375 mila lire, quasi un terzo dell'intera
spesa di una famiglia senza figli. La situazione peggiora con l'aumento dell'età
dei figli, perché per mantenere due ragazzi al di sopra dei 14 anni -
sottolineano economisti esperti in materia - si oltrepassano i 3 milioni di
spesa mensile.
Come farà il metalmeccanico o colui che guadagna ai limiti dell'indigenza?
Certo non è stato contemplato dall'Istat che gli è passato vicino
senza vederlo.
La decisione di mettere al mondo o meno discendenti, finisce col diventare una
scelta prevalentemente di tipo economico. A quanto asseriscono i ricercatori
di Polis, i figli in Italia costano ben più di quanto non avvenga in
altri Paesi industrializzati. E i costi appaiono in ulteriore crescita.
L'indagine ha separato le spese "vive" (pannolini, cibo, libri scolastici,
vestiario) dai cosiddetti "costi opportunità", ovvero i mancati
guadagni da lavoro legati alla presenza del figlio e hanno cercato di sommare
costi e benefici sia monetari che non. Hanno inoltre annotato come un vantaggio
dalla presenza in casa dei figli possa venire dall'eventuale contributo al bilancio
familiare e dalle sovvenzioni pubbliche (assegni familiari e sgravi fiscali).
Hanno tenuto conto persino del fatto che i genitori modificano il loro stile
di vita riducendo le attività di consumo legate alla vita sociale che
conducevano precedentemente e - nel caso degli uomini - aumentando le attività
lavorative. Il risultato più evidente è che i costi sono sostenuti
soprattutto dalle madri che dedicano il loro tempo libero al bambino e rinunciano
a guadagni più consistenti e soprattutto alla carriera.
Parte dei ricercatori attribuisce la causa del decremento delle nascite italiane
all'alto costo del mantenimento della prole e alla prospettiva della "assistenza"
prolungata fino ai 30 e passa anni. Non tutti i tecnici del problema attribuiscono
però il motivo della denatalità a cause "economiche".
La dirigente di ricerche Istat Linda Laura Sabbadini propone il caso dei giovani
operai del Nord-Est che nelle famiglie monoreddito non solo non rappresentano
un costo, ma sono addirittura decisivi per contribuire al livello di vita delle
rispettive famiglie e alla prosperità della piccola azienda paterna.
DI bebè se ne fanno pochi non nel timore di "proletarizzarsi"
(classe operaia del secolo scorso), ma perché "gli italiani danno
al figlio un alto valore simbolico".
La nostra organizzazione scolastica non ci aiuta certo a far volare i rampolli
fuori dal nido; noi non abbiamo i college degli americani e nemmeno la splendida
città universitaria che si può ammirare a Madrid.
Se la tendenza a fare dei figli degli eterni cuccioli ha un costo elevato per
la famiglia con cui i giovani abitano, non dobbiamo dimenticare la presenza
anche di un costo sociale perché ritardano la presa di coscienza dell'importanza
della dimensione economica e di quanto sia arduo sbarcare il lunario, dandosi
da fare per guadagnare onestamente i quattrini. Attingere alle tasche dei genitori
cancella quella sana voglia di darsi da fare, di mettersi alla prova per "monetizzarsi"
e autogestirsi.
Sembra inoltre che la storia occupazionale sia profondamente segnata dalla tradizione
familiare (Sei figlio di un dentista? Papà ti cederà trapano e
tenaglie. Di un avvocato? Lo studio di famiglia ti attende. E così via).
È stato inoltre calcolato che se si ha un papà impiegato direttivo,
la probabilità anche per il figlio di diventarlo cresce del 7 per cento,
proprio perché il nostro (ahinoi!) sembra essere un Paese sempre più
a bassa mobilità sociale e sempre più organizzato per caste e
corporazioni, vere e proprie lobbies che tendono ad impedire l'entrata di sangue
nuovo nelle vene dei loro corpi consolidati. Questo è un problema gravissimo,
tanto grave da scoraggiare i giovani che tentano il concorso di abilitazione
per alcune professioni, ed è un problema soltanto nostrano che affonda
le radici nell'humus del nostro Bel Paese.
GRAZIA GIORDANI