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GLI UOMINI GRANDI DEL PASSATO LENDINARESE
CANOZIO, FILIPPI, CONTI, MARIO VANTO DELL' "ATENE DEL POLESINE"
La consapevolezza di un grande passato, forse rende ancora più
triste un esiguo presente.
Qualcuno dice che Lendinara, sia a livello privato che pubblico, manca di iniziative,
di voglia di fare e di uscire dal torpore, qualche altro insinua che mancano
i grandi uomini nuovi e che, inoltre, la posizione geografica penalizza "l'etrusca
Antenorea Volterra del Polesine", come la definiva il poeta scomparso Angelo
Rasi, altro vanto della cittadina medio-polesana. Anche Atene - quella vera,
in Grecia - e Roma negli anni aurei, non assomigliano certo alle due città
di oggi, per finezza culturale ed intellettuale; con le dovute proporzioni,
Lendinara ha patito un regresso simile e ne va molto soffrendo, ma fa troppo
poco, o meglio niente per risollevare la testa.
Si era aperta una speranza di riscossa - almeno turistica - date le bellezze
rare del patrimonio artistico della città, con la pubblicazione di un
rafinato testo a cura di Pier Luigi Bagatin, Paola Pizzamano e Bruno Rigobello,
con foto di Antonio Guerra, che avrebbe potuto solleticare la voglia di conoscere
nei curiosi di un Veneto ritenuto minore, ma non ci è parso che ne siano
sortiti strepitosi risultati, anche perchÞ Lendinara non ha strutture
alberghiere tali da invogliare gli ospiti. E' un po' come un cane che si morde
la coda: niente confortevoli alberghi perché non c'è grande turismo,
e quindi poco turismo, perchÞ mancano strutture adeguate.
Dal testo più sopra citato, riportiamoa preziose notizie - riprese da
"Le vie d'Italia", scritte dal critico Giuseppe Marchiori - sugli
uomini grandi del fulgente passato lendinarese e riceviamo conferma di come
vi fosse a Lendinara ricchezza di uomini di lettere e di studio e di dedizione
alla politica. "Tra le buone lettere classiche - leggiamo - e le prose
politiche, abati, patrizi e mazziniani, si prodigavano quasi per dare l'immagine
di una tradizione ancora viva, sulla quale si configurava il paese nei suoi
caratteri spirituali e morali. Ma essi erano i continuatori di altri poeti,
letterati e artisti, nati nella cittadina polesana: Lorenzo Canozio, pittore,
stampatore, intagliatore (sec.XV) , Sebastiano Filippi, pittore (sec.XVI), del
quale rimane un autentico capolavoro, "La Visitazione", nella chiesa
di S.Biagio, G.B:Conti, poeta (1741-1820), traduttore di poeti spagnoli, forse
il migliore ispanista italiano. Nel secolo scorso, accanto al nome celebre di
Alberto Mario, vanno ricordati Adolfo Rossi, giornalista e diplomatico e Pietro
Perolari Malmignati, scrittore di viaggi e anche lui diplomatico; Giuseppe Marchiori,
economista e uomo politico. Ma di tanti altri più oscuri si potrebbe
parlare, dai fratelli Baccari, prelati e architetti, tra il 700 e l'800, a Eugenio
Petrobelli, eccellente scrittore di cose agricole, a Carlo Baccaglini, ingegnere,
acuto scrittore di problemi idraulici e classico umanista".
"Lendinara - prosegue il grande critico Marchiori - ha avuto nel tempo
una continuità di sviluppo edilizio, sempre su un piano di vera architettura,
tanto da poter affermare che il suo aspetto è quello imposto dalla 'cultura'
dei suoi cittadini. C'è in questo paese il riflesso di una grande architettura,
dalla fine del Cinquecento, ai primi anni dell'Ottocento, cioè dallo
Scamozzi, interprete della grande arte palladiana, a Giuseppe Jappelli, architetto
di fabbriche semplici e di perfetta armonia, fuori dalla fredda misura neoclassica."
QUATTRO PASSI FRA I MONUMENTI LENDINARESI
Il testo di Marchiori ci mette addosso una gran voglia di approfondire
la nostra conoscenza della città, di "respirare" quanto resta
del suo fulgore. Osserviamo soprattutto e "in primis" la tipologia
delle sua case d'abitazione che il già citato critico definisce di "singolare
dignità architettonica", che possiamo riscontrare "anche nelle
più modeste, costruite, si direbbe per uomini di gusto sicuro, di ben
definita individualità. Che cosa sono al confronto le villette do oggi
- si chiede il critico - che circondano le vecchie case e le opprimono?"
" I palazzi Malmignati (sec.XVII) - prosegue - Perolari (sec.XVIII), Conti
(sec.XVI), Dolfin-Marchiori(fine sec. XVI), con parco sottostante disegnato
da Jappelli, Cattaneo (sec.XVI), documentano insieme alle opere d'arte raccolte
nelle chiese, l'interesse dei lendinaresi per la cultura, in un tempo in cui
l'Alto Polesine era per gran parte liberato dai pericoli più gravi delle
rotte e delle alluvioni e avviato a una tradizionale bonifica. ll paese assumeva,
tra la fine del Settecento e i primi decenni del secolo decimonono, un aspetto,
che in parte conserva anche oggi, di rara dignità architettonica, comune
ai paesi della provincia veneta, e non solo per merito di ville e palazzi, ma
anche delle case rurali, delle stalle e delle "barchesse", esempi
spesso conservati, di buona architettura minore".
Caricati da questa lettura, ci mettiamo a girare per la città con metodo.
Ci prefiggiamo un itinerario laico, per rivisitare i luoghi in cui resta lo"spirito"
dei garibaldini, volontari delle guerre d'indipendenza, ovvero di Alberto Mario
e della moglie Jessie White, in grande familiarità e frequentazione con
Garibaldi e Mazzini: ci sembrerà visitando la città con questo
intento, che la Storia - quella grande, pervasa da sacrifici di sangue - non
sia più un fatto lontano, libresco; avremo la tangibile consapevolezza
che anche la nostra terra vi ha preso parte, con i suoi eroi.
Visiteremo le tombe di Alberto e Jessie Mario e mediteremo sull'epigrafe di
Giosuè Carducci, amico fraterno del grande lendinarese, che scrisse:"Atene
senza servi, Venezia senza dieci, Firenze senza frati, erano per Alberto Mario
la patria ideale". Abbandonato il cimitero, costeggiando l'Adigetto, faremo
ancora una sosta nella chiesetta di S.Rocco, ora Ossario dei Caduti. Siamo incuriositi
dal gigantesco albero che la affianca e che ha subito danni con la rovinosa
tromba d'aria dell'anno scorso, quella che ha semidemolito la chiesa di Ramodipalo.
Sembra che questo maxi-platano sia stato piantato qui nel 1848 da giovani patrioti
che avevano scavato una trincea per fronteggiare gli austriaci e che, sventato
l'attacco, abbiano messo a dimora il grande albero nella fossa, per festeggiare
lo scampato pericolo.
Facciamo dietro-front e, all'inizio di via G.B.Conti, il colto ispanista di
cui ha scritto Marchiori, sostiamo davanti al monumento a Garibaldi. Sulla sponda
opposta del canale sorge, altero e solitario lo stupendo palazzo Malmignati,
più avanti il monumento a Lorenzo Canozio, eretto nel 1478, per onorare
il quadricentenario della morte, con testo commemorativo di A.Mario. Di fronte,
palazzo Boldrin, ora sede della biblioteca; dal giardino possiamo vedere l'elegante
trifora della cinquecentesca Cà Dolfin-Marchiori.
Un vicolo laterale ci porta in via Garibaldi, su cui si affaccia la villa, corredata
da un balcone, notevole non solo per squisito equilibrio architettonico, ma
anche perché nel febbraio del 1867, Garibaldi pronunciò un infocato
discorso, affiancato dall'amico Alberto Mario. Sembra che non sia stato troppo
dolce con il clero del tempo.
Nella villa si respira più che mai lo spirito garibaldino: si conserva
il letto d'epoca dove dormì Garibaldi, ospite di Domenico Marchiori,
antenato dell'insigne critico Giuseppe Marchiori, nostra ideale guida in questo
viaggio. Sarebbe troppa grazia avere veramente al fianco un uomo di così
provata cultura e sensibilità all'arte, che potrebbe farci scoprire anche
angoli inediti e minori, raccontarci episodi tramandati dalla sua famiglia,
sul momento garibaldino della su città.
Ci avviamo verso il Teatro Ballarin e abbiamo un attimo di malinconia: ci dispiace
vederlo chiuso; vorremmo fosse ancora un polo culturale per Lendinara. Speriamo
riprenda presto il suo ruolo del passato. Nel '300 - quando fu costruito dagli
Estensi - aveva funzione di granaio. Siamo entrati in Piazza Risorgimento: qui
è il cuore della città, l' "agorà" in cui pulsava
una fervida vita, che si va purtroppo spegnendo.
Nell'articolo dedicato ai monumenti lendinaresi, già abbiamo accennato
al palazzo comunale e alla torre del castello estense: c'è armonia ed
eleganza. Anche qui sembrano essersi cristallizzati i ricordi del grande passato,
quelli, ad esempio, del celebre giornalista lendinarese Aldo Rossi che parla
delle conversazioni di Alberto Mario al caffè sottostante il palazzo
conunale e dell'aura anticlericale che si respirava, all'epoca, in città.
La"Puazza", infissa nel muro di un edificio adiacente al torrione
medievale, ci guarda enigmatica, con sguardo di pietra e non vuole svelarci
le sue origini e dirci come sia giunta qui. Qualcuno la vuole egizia, altri
pensano sia un bottino di guerra.
Se abbiamo iniziato questo tour dalla tomba di Mario e della sua battagliera
consorte, abbiamo in animo di finirlo, dove i due grandi sono vissuti. Facciamo
tappa nella piazza dedicata all'eroe risorgimentale, diamo un'occhiata al monumento,
opera dello stesso Ferrari che scolpì il monumento equestre di Garibaldi
a Rovigo.
La casa di Alberto Mario è sita in una via che non gli sarà troppo
piaciuta - supponiamo - visto che si chiama via Santuario (e non sappiamo se,
all'epoca, avesse la stessa denominazione). In questa casa, confortato dalla
sua Jessie, Mario si spense, martoriato da una terribile malattia, dopo atroci
sofferenze.
GRAZIA GIORDANI