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I giorni del terrore
Da martedì 11 settembre il mondo ha cambiato
giro. Sembra che l'ala della paura vada stendendo un velo sempre più
cupo di dolore e di preoccupazione nei pensieri e nella vita della gente. La
distruzione in America delle due Torri Gemelle e del Pentagono, ad opera dell'ormai
arcinota azione terroristica, ha portato un vero terremoto di ansie, accompagnate
da farraginose illazioni.
Ognuno dice la sua. TV, stampa & Company bombardano il cervello della popolazione
in una ridda di notizie contrastanti: ci sono gli interventisti che vorrebbero
bombardare a tappeto i paesi islamici per annientare il pericolo terrorista;
quelli un po' meno determinati che vorrebbero limitarsi (si fa per dire!) al
Pakistan e all'Afghanistan; quelli che dicono che si deve perdonare (proprio
un sacerdote sere fa in una trasmissione televisiva sosteneva che non solo si
dovrebbe perdonare a chi ha seminato tanta morte e dolore, ma addirittura ci
si dovrebbe astenere anche dall'infliggere punizioni dettate dalla legge
),
c'è chi dice che gli americani hanno raccolto le conseguenze di loro
passati errori e prepotenze; chi dice che dobbiamo essere solidali con un popolo
generoso e nostro "salvatore" politicamente e militarmente parlando;
chi si perde in disquisizioni socio-filosofiche sulle differenze culturali tra
Occidente e mondo orientale; chi stigmatizza la "tepidezza" del governo
italiano che appare più prudente e guardingo di quello inglese o di altri
paesi europei nell'assicurare solidarietà, non solo a parole, all'America
così atrocemente ferita, e nel contempo stigmatizza questa nostra Italia
ritenuta inaffidabile, data anche la consuetudine - sottolineano - di iniziare
le guerre con un'alleanza e finirle con quella opposta; nemmeno la Chiesa è
coerente nell'offrire auspici e consigli.
Abbiamo la sensazione di addormentarci, la sera, dopo aver ricevuto la buonanotte
da Vespa, Costanzo, Santoro o loro simili, con un tam-tam guerresco a farci
da ninna-nanna ed immagini cruente negli occhi.
Il mattino ci svegliamo con dibattiti radiofonici e così siamo sempre
più informati sulle malefatte dei Talebani (che Allah li maledica!) o
vediamo passare sullo schermo - in alternanza alle immagini della distruzione
terribile a New York o a reportage agghiaccianti sulla vita di donne e bambini
afgani -, il volto spiritato di Bin Laden che ci appare dotato di un'anima e
di intenzioni più nere della notte. Apprendiamo che la Casa Bianca congela
i beni di questo fanatico miliardario e degli appartenenti a una rete di 27
organizzazioni e che un fax attribuito allo sceicco folle incita i "fratelli
dell'Islam" a combattere la "crociata americana". I talebani
avrebbero giù preparato 300mila guerriglieri, pronti alla loro grande
"guerra santa", una guerra fideistica contro il "grande Satana",
contro l'Occidente che vedono essere un mondo corrotto e impuro di infedeli.
Il loro obiettivo prioritario non è quello di nuove conquiste territoriali
in senso lato, ma di conquistare l'Islam, estremizzando sempre più il
loro fondamentalismo islamico e indebolendo la parte moderata di queste fazioni.
A quanto apprendiamo dal costante martellare di notizie, gli americani vorrebbero
innanzi tutto punire i colpevoli e poi prevenire proteggendosi meglio da attacchi
futuri.
L'angoscia profonda di cui parlavamo all'inizio, nasce anche dal fatto che se
l'attacco americano non sarà attentamente mirato, nell'intento di punire
i terroristi e di snidare Bin Laden, potrebbe causare morte e distruzione di
innocenti, facendo il gioco dei terroristi stessi, che è appunto questo
che vogliono, al fine di aizzare odio e rinfocolare atti rinnovati di terrore.
Non sarà facile per nessuno di noi - non solo per gli americani direttamente
e atrocemente colpiti - ritrovare la tranquillità, ignorando il pericolo
anche di attacchi chimici e batteriologici.
Proprio nella sede della Repubblica Veneta, Paolo Mieli, presentando il suo
ultimo volume di storia (Storia e politica - Risorgimento Fascismo e Comunismo)
ha sottolineato questo rischio subdolo e insidioso.
Quella che ci assilla non è la paura di una terza guerra mondiale, combattuta
secondo gli schemi classici, ma l'angoscia per le possibili azioni del nemico
occulto, il terrorista che, all'improvviso, scaglia aerei contro edifici di
innocenti civili, persuaso di guadagnarsi un posto in un paradiso ispiratogli
dal Corano, ove saranno coronati tutti i suoi sogni di irriducibile fanatico.
Quella che ci affanna è la consapevolezza che i terroristi hanno raggiunto
il loro scopo spaventandoci, facendoci cadere in quello stato ansioso che mina
la gioia di vivere.
È contro questa insidia che dobbiamo soprattutto combattere: non bisogna
dargliela vinta.
GRAZIA GIORDANI