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L'utero in affitto
In Italia se ne comincia appena a discutere, ma
in Inghilterra l'uso di ricorrere all'"utero in affitto", è
legale da dieci anni.
Ci asteniamo da commenti tipo: "Con tanti orfani al mondo, perché
non ricorrere all'adozione piuttosto che ad un'esperienza così trasgressiva
ed artificiosa?". Ci asteniamo proprio perché riteniamo che ogni
donna abbia diritto alla maternità - sia pur ricorrendo ad un procedimento
anomalo - in linea con una propria scelta del tutto personale.
Una vicenda clamorosa, in merito all'argomento, ha occupato gli spazi dei quotidiani
nazionali in questi giorni. Un'aspirante madre biologica romana, trentenne,
è penalizzata da una malformazione all'utero che le impedisce di portare
avanti una gravidanza, ma non di produrre ovociti. Il marito, trentacinquenne,
soffre di una grave forma di azospermia. La coppia si è rivolta cinque
anni fa ad un noto ginecologo che li ha sottoposti ad una fecondazione in provetta
e ha congelato cinque embrioni in attesa di una "madre surrogata".
Dopo cinque anni, la coppia trova una donna donatrice, amica dell'aspirante
madre, disposta a mettere alla luce il loro bambino. Ma il codice deontologico
dei medici vieta l'intervento e il caso finisce in tribunale. Nonostante la
sentenza del giudice (donna) abbia autorizzato l'impianto dell'embrione, la
coppia ha rinunciato a proseguire l'intervento. Gli aspiranti genitori si sono
tirati indietro, non sopportando la pressione che si è stretta intorno
a loro. Troppo clamore, troppi condizionamenti e incognite sul futuro del bambino.
Il tentativo non si farà in Italia; molto probabilmente avrà luogo
all'estero, in uno dei Paesi che non pongono ostacoli legali. Insomma, i due
coniugi, forse spaventati dai problemi etico-legali che l'eventuale nascita
del figlio avrebbe portato con sé (fra cui il rischio che il bambino
fosse tolto loro e dato in adozione) hanno scelto vie più agevoli, verso
lidi lontani dalle chiacchiere e dalla réclame negativa.
E pensare che in Inghilterra esiste addirittura una Organizzazione della Speranza
che si occupa di maternità surrogata, presieduta da Jayne Frankland,
responsabile delle relazioni esterne della britannica Cots (Childlessness Overcome
Through Surrogacy ovvero Superare la mancanza di figli attraverso la maternità
surrogata). È una organizzazione senza scopo di lucro, fondata nel 1988
da Gena Dodd e Kim Cotton. Gena, grazie a una maternità surrogata, stava
assaporando la gioia di avere finalmente un figlio. Kim era stata nel 1985 la
prima donna britannica a dare il proprio utero in affitto. Insieme pensarono
di poter offrire tutto il supporto e l'aiuto necessario a chi aveva deciso di
affrontare una scelta così difficile ed estrema. Nel loro programma rientra
l'aiuto di psicologi e di coppie che già hanno vissuto un'esperienza
simile.
Ogni anno l'Organizzazione riceve richieste ed entra in contatto con almeno
700 coppie di interessati al problema. Tra i richiedenti aiuto non vi sono solo
soggetti con problemi di sterilità, ma anche coppie ritenute troppo vecchie
per ottenere un figlio in adozione.
Spesso esiste già un'amica o una componente della famiglia disposta ad
offrire il proprio utero per la difficile esperienza. Dopo il parto, anche quando
la madre surrogata non è legata alla coppia da precedenti vincoli amicali
o familiari, resta un contatto: telefonate, fotografie, incontri.
Non volendo entrare nel merito dei sentimenti e del lato umano di tutta la difficile
faccenda (tipo: "Come si sentirà la madre surrogata quando, dopo
aver portato in grembo per nove mesi un figlio, dovrà separarsene come
se si trattasse di un bubbone o di un dente che le estraggono dal corpo?")
e,. soprattutto, volendoci astenere da ogni genere di giudizio morale, ci atterremo
a quanto dice la legge. Quella italiana non vieta solo l'utero in affitto, ma
anche la fecondazione eterologa, ammettendo solo quella omologa (con seme non
estraneo alla coppia), anche se il giudice (donna) - sottolineando il vuoto
legislativo - ha autorizzato, come dicevamo all'inizio, il ginecologo a superare
il divieto deontologico, mettendolo nella condizione di realizzare l'intervento,
motivando la sua decisione sull'esistenza di un diritto alla maternità
e sul fatto che esiste un pericolo di deterioramento degli embrioni congelati.
In Gran Bretagna - come dicevamo più sopra -, risale dal 1985 il primo
Surrogacy Arrangements Act e la maternità surrogata è legale dal
1990. Al contrario degli Stati Uniti - dove è ormai un vero e proprio
business lucroso -, in Inghilterra non sono ammessi fini commerciali e le organizzazioni
che se ne occupano non possono fare pubblicità. È considerato
accettabile prestare il proprio utero solo per altruismo o per amicizia e le
madri surrogate possono ricevere soltanto un rimborso spese. Non esiste però
un pendolarismo della speranza da altri Paesi in cui la maternità surrogata
è ancora vietata.
Che possa verificarsi in futuro anche in Italia - e quindi in Polesine, terra
conservatrice per atavica tradizione - questo fenomeno anomalo di una grande
. atipica famiglia allargata con l'ausilio di uteri affittati o prestati?
In epoca di clonazioni e medicina futuribile, tutto possiamo aspettarci.
GRAZIA GIORDANI