Articoli e servizi culturali
Mal di guerra
Riallacciandoci al precedente servizio di costume,
in cui parlavamo dell' insanguinato 11 settembre - con tutte le note conseguenze
che ha portato nel mondo - non possiamo tacere il difficile momento che sta
vivendo ora anche l'Italia, passando sotto silenzio l'atmosfera di ansia, fra
la paura dell'antrace e mille altri motivi di allarmismo quotidiano.
Ansie e paure che, in Polesine, sentiamo forse in misura minore, da una parte,
perché non abbiamo città d'arte importanti come Venezia, Roma
o Firenze (possibili bersagli dei terroristi impegnati a distruggere anche "simboli"
di una nazione), e dall'altra, perché non siamo degli allarmisti esagitati
per natura: la nostra è gente cauta e abbastanza razionale che, prima
di gridare "al lupo!", aspetta a vedere almeno le orecchie del temuto
animale.
Comunque non possiamo nasconderci il fatto che sopra le nostre teste volano
gli aerei radar (Awacs) che sorvegliano lo spazio aereo della penisola italica;
che all'aeroporto di Fiumicino doganieri e addetti postali sono stati dotati
di guanti e mascherine in funzione antibatteriologica; che l'esercito ha avuto
ordine di presidiare il polo petrolchimico di Marghera e che acquedotti e dighe
sono strettamente sorvegliati dal Corpo forestale dello Stato, in quanto "possibili
obiettivi di attentati terroristici".
Questa guerra anomala e distante fa piovere di riflesso sui nostri pensieri,
un mix di angosce indefinite, di diffidenze, difficoltà a ritrovare misura
ed equilibrio esistenziale.
E se il pericolo arrivasse per posta?
Segretarie ed impiegati postali sono certo i più a rischio nei confronti
di questo oscuro killer.
E se fosse pericoloso frequentare luoghi affollati?
Gli ansiosi - nelle città maggiormente a rischio - comprano maschere
antigas, o distribuiscono in fotocopia il manuale della Croce Rossa americana
sul da farsi in caso di attacchi chimici.
Il primo giorno al numero verde (800.571.661) del ministero della Salute i medici
hanno risposto a 520 chiamate sulla disponibilità di vaccini e antibiotici,
i mezzi di protezione , le modalità di contagio. La parola di moda è
"antrace".
Soprattutto a Roma e nelle grandi città sale l'inquietudine tra le segretarie
addette alla posta nelle multinazionali, nei giornali, nelle TV. Se continuiamo
così - sotto Natale - l'invasione dei pacchi-dono potrebbe paralizzare
il nostro sistema postale.
Gli Aeroporti di Roma formano una équipe di psicologi specializzati nell'assistere
i parenti delle vittime di attentati, dirottamenti, incidenti aerei.
Sembra che tra gli effetti prodotti dal mal di guerra vi sia una grande ricerca
di spiritualità.Se negli Stati Uniti le chiese e le sinagoghe e le moschee
non sono mai state così piene come in questi giorni, anche in Italia
i luoghi di culto, di ogni fede e religione, registrano un'affluenza senza precedenti.
Chiese piene, ma anche boom dei pellegrinaggi. Il turismo religioso è
quello che risente meno della caduta di prenotazioni per viaggi, in senso lato:
Fatima, Lourdes e mete simili, continuano ad essere molto gettonate; così
dicasi per San Giovanni Rotondo dove si trova il celebre convento di Padre Pio.
Sembra che molti italiani vivano con senso di colpa le immagini dei morti di
New York e ora di Kabul e che in nome di una solidarietà inconscia restringano
le proprie attività, anche come consumatori.
Gli psicologi e sociologi osservano un complesso di mutamenti difformi ed assemblati
che vanno dall' incubo dell'antrace e del vaiolo, alla volatilità degli
indici di Borsa, a una paura di volare - che non è più quella
simbolica di Erica Jong -, al sospetto immediato per le acrobazie linguistiche
degli imam immigrati; il tutto condito sempre da immagini terrificanti in Tv
di vere carneficine a New York prima, ed ora in Afghanistan.
Soprattutto entrano in conflitto concezioni diverse del tempo: per una famiglia
occidentale - anche nostra, polesana - la scansione temporale è un alternarsi
di eventi individuali, nascite, adolescenze, lauree, matrimoni, carriere, successi,
delusioni; mentre nei messaggi oracolari di Osama Bin Laden il tempo è
una fascia lenta di umiliazioni storiche di una "nazione", in cui
gli ottant'anni dalla caduta dell'impero ottomano sono un tempo di vita, ma
soprattutto di memoria. E siccome noi - ormai figli della telematica - misuriamo
il tempo sulla velocità istantanea di connessione al web, si rivela insostenibile
che qualcun altro possa misurarlo sul succedersi di epoche, di generazioni ,
di comunità.
Un tempo istantaneo, fulmineo il nostro; un tempo epocale il loro.
Forse anche questa diversità è una delle sottili componenti di
angoscia che annulla certe nostre sicurezze, enfatizzate dalla sensazione che
una alterità assoluta possa annichilire abitudini, prevedibilità
del nostro consueto modus vivendi, mandando per aria la realtà che ci
eravamo prefigurati. Nel nostro auspicabile futuro..
GRAZIA GIORDANI