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Superenalottomania
Sono diventate impressionanti le "code"
- anche da noi in Polesine - degli aspiranti miliardari davanti alle ricevitorie
del Superenalotto, più croce che delizia, forse, di chi affida alle 1.600
lire della giocata a due colonne, la speranza di cambiare vita. Sembra che gli
altri giochi, con particolare rilievo per le scommesse ippiche (e quindi il
Totip) ne risentano in maniera negativa, perché la gente - diventata
superenalottomaniaca - aspira ai miliardi e non si contenta più delle
cifre a sei zeri.
Gli habitué del gioco ormai sanno persino consultare un apposito glossario
che li informa dei numeri ritardatari, di quelli frequenti, delle cadenze (serie
di nove numeri aventi in comune la cifra finale), delle decine (serie di dieci
numeri aventi in comune la prima cifra), dei gemelli (serie di otto numeri composti
da due cifre uguali), vertibili (ventisei coppie formate da numeri aventi le
cifre invertite), numeretti, ovvero numeri composti da una sola cifra e la lista
del lessico superenalottistico potrebbe continuare ancora con le figure, cifre,
capolista, isocroni, complementari e diametrali. Dicono che ci sia gente che
gioca scientificamente, tenendo conto di ritardi e probabilistici capricci di
una giocosa realtà...
Gli esperti sostengono che chi perde è a rischio di depressione. Il miraggio
è quello di diventare plurimiliardari alla grande. Tra i milioni di giocatori
italiani se ne annoverano in buon numero con un "tratto psicologico"
che porta con un impulso irrefrenabile al gioco. Il professor Giovanni Battista
Cassano - direttore della cattedra di psichiatria dell'Università di
Pisa, famoso per l'attenzione alla schizofrenia e alle patologie maniaco-depressive
- ha affrontato il problema a margine dell'undicesimo congresso del Collegio
europeo di neuropsicofarmacologia in corso a Parigi, sostenendo che chi rimarrà
deluso dalla vincita subirà una vera e propria perdita. Se un soggetto
gioca molto, già esprime una malattia e la sua condotta a rischio lo
fa sperare eccessivamente nella vincita con conseguente frustrazione di non
raggiungerla: questo può portare a serie forme di depressione. Inoltre,
il numero delle persone con patologie da gioco d'azzardo viene alimentato dall'eccessiva
pubblicità che si fa alla possibilità di vincere grosse cifre
al Superenalotto. Si entra così in un circuito chiuso - assicura il cattedrattico
- che alimenta la condotta a rischio.
Nel sondaggio del "Nouvel Observateur"è stato chiesto agli
abitanti di quattro Paesi cosa avrebbero fatto con una vincita miliardaria.
I più generosi sembrerebbero gli inglesi: il 56 per cento aiuterebbe
i propri parenti, medesimo atteggiamento avrebbe il 51 per cento dei francesi
e soltanto il 34 per cento degli italiani e il 18 per cento dei tedeschi.
C'è chi penserebbe subito ad investire la somma vinta. Sicuramente lo
farebbero il 46 per cento dei tedeschi, il 30 per cento dei francesi, il 29
per cento degli italiani e il 27 per cento dei britannici.
Il settimanale francese ha condotto il sopra citato sondaggio al fine di dimostrare
che essere ricchi non è più un peccato. E ha tratto le conclusioni
del forte cambiamento, instauratosi in questi anni, del rapporto con il "dio"
denaro. Che cosa significa oggi arricchirsi? Come cambierebbe la vita di una
persona se di colpo nel suo conto in banca entrassero valanghe di miliardi,
caso mai guadagnate con l'aiuto della dea bendata?
Dalla Francia alla Germania, dall'Inghilterra all'Italia, tutti si dicono d'accordo
sullo stesso punto: ricco è bello. I ricchi a parole suscitano indifferenza,
ma nei fatti provocano ammirazione e invidia. Lo ammettono il 34 per cento degli
italiani e il 42 per cento degli inglesi. Stando al sondaggio, sembra che il
danaro conferisca sicurezza, piacere, potere. Sensibili al potere sono soprattutto
gli italiani, anche i giovanissimi. Il rapporto degli italiani con la ricchezza
ha caratteristiche molto particolari. Basta ricordare, in proposito che Verona
è la città europea dove si trova il maggior numero di Rolls-Royce
(oltre 800) e il 75 per cento degli yachts ancorati a Montecarlo sono di proprietà
di ricchi nostri connazionali.
Comunque ciò che affascina maggiormente gli aspiranti plutocrati europei
è la possibilità di cambiare la propria vita con un numero, una
puntata, un'estrazione: addormentarsi come un qualsiasi mortale e svegliarsi
come Superpaperone.
Desta sorpresa, a questo proposito, il fatto che gli italiani si dimostrino
poco generosi nei confronti dei parenti. Non è la nostra la tanto decantata
patria dell'amore alla famiglia? A questo proposito ci lasciamo largamente superare
- secondo la logica dei numeri - da francesi e soprattutto britannici. Più
egoisti di noi i tedeschi. A casa nostra il 29 per cento si preoccuperebbe di
realizzare buoni investimenti, il 16 per cento sogna l'apertura di un'attività
in proprio. Il mito della fabbrichetta sembra essere ancora uno dei più
solidi. Bassissima in tutti i paesi la percentuale delle mani bucate, degli
spendaccioni senza freni, amanti del "giorno da leoni".
Abbiamo appreso dalla stampa la prodigiosa vincita pugliese - quasi una favola
- dei Cento che a Pescici hanno vinto 63 miliardi. Questo fatto ci induce a
compiere una carrellata letteraria retrospettiva, tuffandoci nei romanzi del
secolo scorso: Bouvard et Pécuchet, Eugénie Grandet e Il
conte di Montecristo. Nessuno di questi personaggi, divenuti fortunosamente
ricchi, ha trovato nel danaro la felicità, contravvenendo al "brocardo"
di Andreotti per cui "il danaro non fa la felicità, ma rende tanto
contenti". Non sempre la letteratura è vita - anche se questo si
verifica più spesso di quanto si possa credere - comunque a noi resterà
per sempre la curiosità di conoscere i destini presenti e futuri dei
miliardari del jackpol, non è detto che tutti sarebbero degli inquieti
ed incontentabili come Bouvard e Pécuchet, o degli annientati dall'avvertimento
paterno ("Mi renderai conto di tutto laggiù?") come Eugénie
Grandet, o dei condannati a nascondersi come il conte di Montecristo, instancabile
vendicatore.
Insomma la nostra curiosità è così forte che ognuno di
noi - suvvia non neghiamolo - desidererebbe vivere le storie dei Superfortunati
del Superenalotto Superfortunatamente in prima persona.
GRAZIA GIORDANI