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Un Po troppo

Sembra che le catastrofi naturali abbiano un preannuncio indecifrabile, nell’inquietudine di umani ed animali, quasi un presentimento che crea ansiosa aspettativa. Questo fenomeno si verificò anche per l’evento dell’alluvione del Polesine, avvenuto nell’indimenticabile 14 novembre 1951. Chi scrive per voi su queste colonne era una dodicenne, allarmata – insieme alla sua famiglia – alla notizia che in più tratte l’argine sinistro del fiume Po, quelle a quota depressa, erano iniziate le tracimazioni. Sebbene Badia Polesine – dove vivo -, lambita dall’Adige, non sia troppo vicina al Po, il terrore cominciava a contagiare tutti noi, creando notti insonni, in attesa delle acque.
Molti volontari si adoprarono con sacchi e ogni tipo di mezzo per una politica di contenimento e rabberciamento degli argini, in uno sforzo tanto inutile, quanto disperato. La falsa notizia di una rotta a Bergantino, nel tratto nord della terra polesana, condusse all’abbandono improvvido dei lavori di sopralzo arginale sulla tratta Occhiobello-Canaro. Malaugurata scelta, perché proprio in questa zona le acque tracimate, ruscellando lungo il corpo dell’argine ne determinarono ben presto l’erosione, sino al totale sfondamento
Alle 19,45 del 14 novembre l’argine maestro del fiume ruppe a Vallica di Paviole proprio nel comune di Canaro. Alle 20, seconda rotta nel comune di Occhiobello. Dopo un quarto d’ora a Malcantone. Una massa d’acqua immane, ruggente come tigri impazzite, invase le terre circostanti. Si parla di oltre 9.500 metri cubici al secondo, come a dire che due terzi della portata fluente, anziché proseguire la sua corsa verso il mare, si riversò su paesi e campagne. Fu in assoluto la più grande alluvione a colpire l’Italia in epoca contemporanea.
La gestione del dopo alluvione, non fu migliore di quella del prima (epoca in cui si sarebbero dovuti rafforzare con ragionevolezza gli argini, prendendo oculati provvedimenti idraulici). Forse per insipienza dei prefetti del tempo, non si operarono opportuni tagli agli argini in punti strategici, per cui al danno naturale si aggiunsero nuove catastrofi, perché le acque di esondazione non trovarono alcuno sfogo verso il mare, raggiungendo, all’inverso, Castelnovo Bariano, Bergantino e Castelmassa, toccando quella parte dell’Altopolesine che ne sarebbe restata immune. Badia Polesine, dove vivo, fu uno dei pochissimi centri non toccati dalle acque e le fu dato così ospitare 4.000 alluvionati, in scuole ed abitazioni private (noi pure non ci tirammo indietro, restando meravigliati del fatto che molti bassopolesani non avevano mai vista la carne, abituati solo al pesce delle loro valli e del loro mare).
Va da sé che il Bassopolesine, dove il fiume si getta nel mare, fu la terra più aspramente colpita. Persino l’America si commosse, vedendo la foto di una povera donna in barca che fuggiva, reggendo fra le braccia il suo bambino addormentato.
Gli errori idraulici e non solo, fecero sì che le acque raggiungessero Rovigo, preposto alla gestione dell’emergenza e quartier generale di tutte le attività di coordinamento dei soccorsi, distribuzione degli aiuti e smistamento dei profughi. Ultimo baluardo a difesa del centro di Rovigo si rivelò l’Adigetto (figlio dell’Adige).
Anche Adria – la bella cittadina che ha dato il nome al Mare Adriatico – fu invasa dalle acque. Si allagò pure Cavarzere. E subirono danni senza pari Rosolina e Porto Viro, fino alle ultime propaggini del Bassopolesine. . Ma la solidarietà fu tanta e compatta da tutte le parti del mondo.
La superficie allagata è stata pari al 52 per cento dell’intero territorio polesano.
ll numero delle vittime ufficialmente riconosciuto è di 88 (comprese quelle del famigerato “camion della morte”, in fuga incontro al disastro).
Il numero dei profughi costretti a lasciare le proprie abitazioni fu compreso tra 180 e 190 mila. Andarono perduti 24 mila capi di bestiame bovino. Incalcolabile il numero degli altri animali di allevamento. Dal ’51 al ’61 lasciarono in modo definitivo il Polesine 80.183 abitanti. Al 2001 oltre 110 mila persone sono emigrate, depauperando il 50 per cento della popolazione residente.
Ora gli argini polesani sembrano in ordine.
In Italia si è sempre avuto l’uso di chiudere la stalla quando sono fuggiti i buoi
Grazia Giordani
Pubblicato in Arena venerdì 18 novembre 2011


Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 18 Dicembre 2011

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