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Il divisionismo la luce del moderno

Rovigo ci ha accolto in un fulgente pomeriggio di sole, pavesata da ammiccanti locandine nei sottoportici e nell’intrigo di vie cittadine. La bella signora dall’enigmatico sorriso, ritratta all’aperto nel 1902 da Giacomo Balla, sembra sicura di poterci condurre dritto filato a Palazzo Roverella a visitare la mostra Il Divisionismo. La luce del moderno che terrà aperti i battenti dal 25 febbraio al 24 giugno 2012. Questa sicurezza, alla dama bruna nasce dal suo aspetto radioso, mentre ostenta – a figura intera – una silhouette che parla di benessere. E si sa che in momenti di crisi si ha bisogno più che mai almeno di estetica consolazione.
Visitando le otto sezioni della mostra, voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo, curata da Francesca Cagianelli e Dario Matteoni, subito ci rendiamo conto del raggiunto intento di voler dare rilievo sempre più approfondito ai ruoli e contributi delle personalità artistiche italiane nell’elaborazione teorica e stilistica di un Divisionismo più nostro che si stacchi da quello francese, valorizzando figure in passato non sufficientemente indagate. L’intento dei curatori ci è parso soprattutto essere quello di porgere al pubblico una revisione storiografica della “pittura divisa” che ha abbracciato l’arco temporale tra il 1890 e l’indomani della Grande Guerra. Quindi, non solo l’asse Milano-Torino, quali esclusivi luoghi del fiorire di questa maniera pittorica. Nella mostra rodigina ci è dato scoprire sottili agganci tra Liguria e Toscana, complice il livornese Plinio Nomellini che sembra mediare gli esiti macchiaioli del Fattori con le pennellate più morbide e sfatte di pittori quali Benvenuti e Merello. Siamo rimasti fortemente colpiti dal ruolo di personalità complesse e fascinose (e nello charme rientra anche la sua avvenenza fisica) come quella di Vittore Grubicy de Dragon (1851-1920), grande appassionato di musica classica, da Ravel a Gounod, dai cui assemblaggi pittorici sembra emanare un afflato rarefatto ed intellettuale, addirittura musicale. Acutamente, il critico Sergio Rebora, parlando dell’eccentrico artista d’origine magiara e dei suoi esiti compositi, osserva come ‹‹Presero di volta in volta forma di trittici e politici nella cui costruzione l’artista recuperava opere precedenti, accostandole alle nuove secondo affinità o contrasti emozionali, sollecitati da lontani richiami a una musicalità sibillina››. E la mostra abbonda di queste composizioni multiple, fatte anche di ripensamenti cromatici. Abbiamo molto apprezzato il Terzetto tenue, fatto di pochi alberi su terreno sassoso. Di un gregge di pecore. Per chiudere la serie nella dolcezza di un mattino. Se l’esposizione sa porre l’accento sul divisionismo così detto “ideista”, capeggiato da Giovanni Segantini, non trascura nemmeno quello ideologico, detto “socialista”, caratterizzato dall’impegno umanitario e la considerazione per gli ultimi, i reietti. Tra costoro spicca Angelo Morbelli che dipinse a Milano una serie di tele dedicate al Pio Albergo Trivulzio, l’istituzione milanese dedita all’assistenza degli anziani in miseria. Circa vent’anni fa l’istituzione benefica milanese è caduta nell’occhio del ciclone perché dall’arresto del suo presidente, ha preso avvio l’operazione Mani Pulite. Ma questa è altra storia.
Giusto spazio è dato all’arte visionaria di Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907) di cui abbiamo potuto ammirare il portentoso trittico L’amore nella vita. Ci è dato inoltre sostare nella dolcezza mattutina de Il Prato di Gaetano Previati. Girovagando dentro le sezioni della mostra, vorremmo riportare impresse nelle nostre pupille e soprattutto nel nostro immaginario, le fantasie che ci suscitano opere dei grandi qui citati da Previati a Segantini e Morbelli, giungendo a giganti quali Giacomo Balla – cui è toccato l’onore dell’icona – proseguendo con Umberto Boccioni, Gino Severini, Carlo Carrà, spingendoci fino alla Secessione Romana.
Certi che non basti una sola vista per una mostra così complessa e di varia provenienza, siamo spinti ad una imprescindibile riflessione sul nuovo concetto della luce, anche per meglio comprendere la forza del divisionismo italiano affiancato e contrapposto al pointillisme francese. E ci avvaloriamo sempre più nel concetto per cui i colori complementari, non miscelati, stesi l’uno accanto all’altro, creino effetto di maggior luminosità e sarà proprio questo accostamento di tinte, nella loro originaria purezza, a favorire il meccanismo della percezione, ricomponendo quella saturazione ottica che gli italiani hanno ottenuto con filamenti disposti a sovrapporsi, contrapposti al punteggiare dei francesi.
Grazia Giordani
pubblicatosabato 25 febbraio 2012 nei tre quotidiani


pubblicato

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 14 Marzo 2012

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