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Giorgio Morandi e il ritratto che non ha dipinto

Giorgio Morandi e il ritratto che non ha dipinto
L'orfana di Giorgio Giordani, l'allievo amato dal pittore, modella mancata

Giorgio Giordani, Hena, bronzo
Giorgio Giordani, Hena, bronzo
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Diciannovenne, matricola di giurisprudenza a Bologna, mia città natale, ho commesso una sciocchezza che un po', anzi molto, mi vergogno a mettere ora nero su bianco. Dopo il suo secondo matrimonio, vedova di mio padre, lo scultore Giorgio Giordani, mia mamma Hena — presa dalla nostalgia dei suoi ruggenti anni bolognesi, vissuti al fianco dell'intellighenzia artistica anni Trenta-primi Quaranta — mi parlava degli artisti e del cenacolo al caffè San Pietro dove, con papà, frequentava Giorgio Morandi, Virgilio Guidi, Luciano Minguzzi, solo per citare tre bei nomi di quel momento storico. Due anni dopo la morte di mio padre, piena di dubbi sull'occasione di rimaritarsi, aveva pensato bene di chiedere consiglio proprio allo schivo e solitario Morandi, «il raffinatissimo poeta dei vuoti a rendere», e ne ebbe l'esortazione a «dare un secondo padre alla bambina, anche se difficilmente troverà», aggiunse il pittore, «un compagno della qualità umana, non solo artistica, di Giordani».
Tutta questa premessa, per sottolineare quanto spesso avessi sentito nominare in casa il nome, l'amicizia e la genialità del Maestro. Dunque, sono diciannovenne matricola a Bologna. Vado in via D'Azeglio alla boutique di zia Berta e la trovo emozionatissima. «È passato Morandi», mi dice sgranando gli occhi al nome famoso, «per sapere se davvero studia a Bologna la figlia del suo allievo Giordani. Gliel'ho confermato. Ha detto che tu vada nel suo studio, in via Fondazza: vuole farti un ritratto, in ricordo dell'affetto che aveva per il tuo papà».
Non ci sono andata. Timidezza? Ho fatto finta di dimenticarmene, o l'ho scordato veramente, inebriata dalla novità della vita a Bologna, per me che fino ad allora avevo vissuto confinata, così mi ero sentita dopo il secondo matrimonio di mia madre, in un sonnolento paese del Polesine. Avevo un nuovo padre che mi voleva molto bene e a cui ero legatissima, quindi il passato di mia madre e quel mio papà geniale scultore restavano chiusi in un regno del mito, una realtà da favola che mi apparteneva un po' di striscio.
Solo in seguito mi sono resa conto di quanto avevo perso. Non tanto sotto il profilo venale, perché — in linea con la filosofia Giordani — non avevo mai dato troppo peso al danaro; piuttosto perché avrei un prezioso ricordo di un gigante artistico del Novecento che rarissimamente, oltretutto, dipingeva ritratti. E poi, nonostante la sua famosa parsimonia di parole, avrei potuto farmi raccontare dalla sua voce qualcosa di inedito su mio padre, morto trentacinquenne, dopo essersi distinto in una Biennale veneziana e in due Quadriennali romane. Minguzzi lo ha ricordato con parole traboccanti stima e affetto nel suo romanzo Uovo di gallo, Donatello Bellomo ne ha scritto con partecipazione e la pittrice bolognese Norma Mascellani, parente di Vittorio Sgarbi e pure allieva di Morandi, ha chiesto che tre opere di papà fossero esposte in modo permanente assieme alle sue nel museo in memoria del cardinale Lercaro. Ma come me l'avrebbe raccontato, papà, il suo Maestro Morandi?
Grazia Giordani Una grande occasione perduta


Pubblicato lunedì 29 luglio nei consueti quotidiani cui collaboro

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 30 Luglio 2014

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