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Elzeviro. Una provinciale tra gli imbalsamati dell' Ile Maurice
Una provinciale tra gli imbalsamati dall’Île Maurice
A Londra dai parenti creoli: vudù, spocchia francofona e strabismo
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Il ricordo è di Londra, anno 1967. Ero ospite di parenti acquisiti mauriziani, creoli dell’Oceano Indiano: un cugino bolognese aveva sposato la bella Odette, figlia dei Vaulbert de Chantilly, imparentati con i Sevigny de La Rose. Perfezionavo in casa loro in Plilbeach Gardens la lingua. Il francese, senza imparare una sillaba d’inglese — ahimè — essendo quelli schifiltosi nei confronti dell’Inghilterra, dove vivevano forzatamente. La loro adorata Île Maurice era passata dal dominio francese a quello inglese (nel 1810) e a Londra non si sentivano tributari di quegli onori che avrebbero incontrato a Parigi, piena di parenti e affini. Vivevano nel rimpianto per quanto si erano lasciati alle spalle: piantagioni di canne da zucchero, una casa a Cure Pipe (così si chiamava perché i vetturini vi si fermavano ad acquistar tabacco) e una a Port Louis per l’estate, servi che li sventolavano con i flabelli, suppellettili d’argento e un autista con la Bentley grigia sempre pronta fuori dalla porta che li conduceva ovunque, nell’incanto dell’isola. E il colorato cuoco Albert che però, quando si arrabbiava, definiva «sporchi negri» i suoi nobilissimi padroni.
Queste erano alcune delle cose che avevano lasciato nell’isola. In compenso, avevano portato con sé una spocchia da barzelletta e credenze da far accapponare la pelle a una provinciale. Aprivo un cassetto e sentivo Madame urlare: «Il y a de la magie, il y a du magnétisme, c’est un milieu magique!» Terrorizzata, mi affrettavo a chiudere quel magico cassetto, per me contenente solo cose inutili. Appena giunta fra loro, non avevo il coraggio di chiedere dove fosse la stanza da bagno. Previdente, Madame mi ha sussurrato: «Tu veux passer quelque part?» Più che andare in un luogo qualsiasi, avrei voluto proprio andare in quel luogo che i nobili non potevano nominare. La tavola, deserta di buoni alimenti, era ornata dagli appuy-couteaux, gli appoggiacoltelli: deliziosi ramarri di pietre preziose dove era d’obbligo adagiare le posate da taglio, altrimenti mi sarei rivelata plebea.
Per me avevano preparato la stanza da letto dove aveva «dormito» per un mese la salma imbalsamata del pauvre Maxim, il marito conte, così sistemato in attesa che giungessero a onorarlo di una visita i parenti rimasti nell’Île Maurice. La stanza accanto aveva ospitato, per soli quindici giorni, la salma del vieux oncle, un prozio di cui mi raccontavano che — avendo perso la dentiera — non era riuscito a dire di patire troppo il freddo, per cui si era beccato una letale polmonite. Maxim era assurto alle vette di santo nell’ottica della vedova Madame, da quando, smarrita una borsetta piena di danaro, il provvidenziale conte — apparsole in visione — aveva sussurrato: «Mado, je sais où tu as oublié ton sac!» E visto che trattavasi veramente di un sac di soldi, fu buona cosa. Da qui si evince che credevano ai revenants, ai fantasmi, per cui quando con Odette andammo a vedere la reggia di Hampton Court, in un nebbioso novembre, senza altri visitatori, la mia acquisita cugina credette di essere inseguita dall’ombra di Maria la Sanguinaria, mentre era solo un innocuo vecchietto che zampettava con il bastone dietro di noi.
Congedandomi da Madame Madeleine Vaulbert de Chantilly, dopo due mesi di permanenza in quella aristocratica casa, apostrofata severamente: "Dans ton regard il y a du magnétisme!"- non ho potuto trattenermi dal risponderle: "Non, Madame, il y a seulement du Strabisme "!
GRAZIA GIORDANI
28/05/2015
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 28 Maggio 2015