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Ci sono mostri in giro

Sì, ci sono mostri in giro e li abbiamo fabbricati noi. Ecco perché c'è tutto un brulicare di delitti Ultimo, per ora, quello di Desirée Piovanelli, vittima dell'efferata violenza maschile. Giornali, TV, psicologi, pontificano martellando i loro bla bla sull'accaduto. Ormai non vi è più distinzione tra grandi città e provincia.
Fortunatamente la nostra terra - il Polesine - non ha mai brillato per storie di sangue, ma tutto e ovunque può accadere.
Non diamo sempre e soltanto la colpa alla società se, alla porta accanto, crescono giovani che possono tendere una mortale imboscata a una compagna di giochi.
Vien fatto spontaneo colpevolizzare in generale il modo in cui molti di noi, fuori dal cono di luce della cronaca, vivono il mestiere di padre o madre, che è il più difficile dei lavori moderni.
"Non possiamo sorprenderci quando i nostri figli ci tradiscono - scrive in proposito Gaspare Barbiellini Amidei, in un suo accorato editoriale nel Corriere della Sera - perché c'è un antefatto collettivo per le singole brutte notizie. La progressiva decontrazione dei branchi e la loro impossibilità evidente a distinguere tra l'universo virtuale e la gravità reale dei loro gesti, sono state costruite a tavolino dall'immaturo possesso di denaro, di cellulari e di macchinette varie".
Quanto tempo stiamo con i nostri figli?
Certo, non si può fare di ogni erba un fascio.
Soprattutto da noi, in provincia, dove la vita ha un ritmo più lento, i genitori trovano ancora il tempo di conversare con i propri ragazzi, molto più di quanto non accada nelle popolose città.
Comunque, lo ore dedicate alla cura del corpo (palestre, parrucchieri, estetiste) aumentano, allontanando gli adulti dalla casa, sottraendo parte di quel tempo che potrebbero e dovrebbero dedicare ai figli, che restano in compagnia di televisori, telefoni e computer. Mezzi utilissimi, addirittura indispensabili, ormai, ma solo se usati con maturità e giusto discernimento, atto a non creare confusione tra il reale e il virtuale: la vita vera non è un fumetto; il revolver vero spara sul serio e non uccide nella finzione, stronca una vita.
Nemmeno i mass media aiutano, portando un proficuo contributo. Psicologi e sociologi parlano, in proposito, della "dissonanza cognitiva" nella sfera pubblica, ovvero della sconfortante differenza tra il predicare bene e il razzolare male di coloro che contano, quale costante diseducazione. Ma la grossa responsabilità - quella che più conta - è individuale e molto spesso familiare.
Da genitori immaturi e impreparati non possono venir fuori figli consapevoli e giustamente orientati nel mondo.
Decenni di incertezze e di contraddizioni nei metodi educativi e nella pedagogia (confortati dal magniloquente blaterare degli americani che non ci propongono certo esempi di una gioventù confortante, con l'alto tasso di delinquenza che li affligge, gravata da mille problemi psicologici!) portano ai deprimenti risultati di cui sopra.
Il permissivismo educativo continua ad essere una delle grandi piaghe nella formazione dei giovani, pericolosamente attratti dalle novità, da tutto ciò che luccica, ottenuto senza sacrificio, senza impegno, massacrati da una corsa all'imitazione.
Senza punizioni o bocciature, per una condotta inaccettabile, si creano studenti falliti e cittadini a futuro rischio proprio e altrui.
Un ragazzo può fare violenza e male a se stesso, con la droga, o a un altro con il delitto. Ma noi siamo colpevoli di violentarlo a nostra volta quando non riusciamo a fargli intendere che la vita non è un gioco, un fatuo "divertissement", una corsa ad ottenere gli optional tutti e subito, perché li ha anche l'amico o il ragazzo della porta accanto.
E la vita non è una fiction: i morti non resuscitano mai.

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 27 Dicembre 2003

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