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Paura di tornare
Sembra proprio che - e lo dimostrano inconfutabili statistiche - i fortunati italiani che hanno potuto godere di piacevoli vacanze, abbiano il contraccolpo della "paura di tornare", paventando il doversi rimettere negli impegni di sempre, immergendosi nuovamente nel mare minaccioso dei doveri, avendo appena lasciato quello consolante delle nuotate e dei bagni ritempranti.
Lo stesso malessere, sostenuto nel contempo da una pruriginosa voglia di "cambiare", sembra invadere il bullo con bandana e tatuaggi, il rocciatore alla ricerca di emozioni montane, la casalinga, il manager, l'impiegato e via dicendo.
Per colmare l'assenza, il buco che resta dentro - finite le vacanze - sembra che ci sia chi desidera cambiare l'auto (potendoselo permettere), i ritmi di vita, gli interessi affettivi. C'è chi vuole istruirsi (corsi di inglese o di tedesco?); chi si iscrive a corsi di "cartonage" (per cui confezionerà inutili calendari o agende che poi non saprà più a chi regalare); chi propende per la palestra; chi decide per il volontariato et similia …
Certo, le più impaurite dal ritorno al tran-tran, saranno le casalinghe che ritroveranno cumuli di panni da lavare e stirare, vasellame da rigovernare, figli da preparare per la scuola e avranno poca indipendenza in tutti i sensi per sognare palestre o corsi di lingue.
I più irrequieti saranno gli studenti, in attesa di riapertura delle scuole: non più vita all'aria aperta per loro, non più gite, passeggiate, dolce far niente, libertà in tutti i sensi; imprigionati fra i banchi potranno solo sognare vacanze future, rimpiangendo quelle appena passate.
Eppure sembra che questa sindrome del ritorno, fatta di rimpianti e di voglia di cambiare, proiettandosi disordinatamente in un futuro migliore, colpisca soprattutto noi italiani. Sembra che inglesi e tedeschi vivano in maniera più composta la pausa estiva, con minori entusiasmi e maggiori consapevolezze del "tout passe, tout lasse, tout casse, et tout on remplace…". Gli americani lavorano sempre (per non parlare dei giapponesi!) e al ritorno dalle ferie, che non hanno fatto, non possono quindi patire delusion…
Solo la nostra "mediterraneità" più superficiale, immatura e consumista sembra spingerci all'antinomia fra paura del ritorno e desiderio di un nuovo attivismo, purché si faccia qualcosa.
Saranno gli occhi stupefatti dei bambini - primi spettatori della nuova ridda di interessi degli adulti - ad assistere al frenetico assalto, da parte degli adulti, di palestre e scuole di lingue, non si sa fino a che punto consapevoli anche dei sogni dei loro genitori. Un recente sondaggio della rivista "AL" rivela infatti che due terzi degli italiani sognano un figlio calciatore e una figlia letterina, velina, o comunque presentatrice in TV.
Cinquant'anni fa, si sognava il figlio avvocato, ingegnere o la figlia brava insegnante. Oggi le professioni borghesi appaiono desuete, ammuffite. Molto meglio avere una figlia che sculetta, ammiccando dal teleschermo o che si propone come Miss Qualcosa, piuttosto che una figlia infermiera, parrucchiera, medico, giornalista o avviata ad una regolare carriera scolastica.
Tutto cambia. Siamo in epoca di strepitosi mutamenti. Persino la moneta sta cambiando. Non ci dobbiamo più meravigliare di nulla, nemmeno dei sogni (fortunatamente non spesso esauditi) dei nostri connazionali che vorrebbero per i loro discendenti una vita di successo, visibilmente pubblicizzata, di cui essere orgogliosi.
La paura del ritorno è quindi esorcizzata con mille frenesie, anestetici della psiche, placebo per chi non sa affrontare con equilibrio il passare dei giorni e dei vari momenti vitali; rimedi per chi teme il "baratro" e non sa riempire i propri vuoti esistenziali con mature consapevolezze.
E in Polesine ("pingue e frumentario", secondo il poeta lendinarese Angelo Rasi) come vanno le cose?
Meno freneticamente, per fortuna.
Con più giudizio, oseremmo dire.
La nostra è ancora una terra a dimensione umana.
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006