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Un gesto d'amore
"Fossi stato uno dei giudici della seconda Corte d'Assise d'Appello di Milano - scrive Umberto Veronesi sul Corriere della Sera di giovedì 25 aprile - anch'io avrei mandato assolto l'uomo accusato di omicidio volontario premeditato per aver staccato la spina dell'apparecchiatura che teneva in vita la moglie, in coma irreversibile".
E noi pure ci allineiamo di tutto cuore con questa posizione nata da una sentenza coraggiosa, seppure "lacerante", proprio perché va a toccare nel vivo i temi grandi della vita. Una sentenza che vulnera coscienza, diritto, fede e stessa scienza medica.
I giudici hanno deciso che l'omicidio non sussiste perché non c'è la prova definitiva che la paziente, al momento dello stacco della spina presentasse ancora una sia pur flebile attività cerebrale.
Ad autorevole parere - sempre del professor Veronesi -, il marito avrebbe dovuto comunque essere assolto perché la moglie si trovava in uno stato "vegetativo permanente", ovvero di netta "irreversibilità".
Inevitabilmente, questa umanissima osservazione dell'illustre oncologo, ex ministro della Sanità, riapre la vexata quaestio dell'eutanasia, la polemica sulla "dolce morte", problema aperto e non solo in Italia, dove la legge, comunque, la vieta.
Il Paese con maggiori aperture verso l'eutanasia è l'Olanda; altri Paesi hanno adottato soluzioni diverse, come la Svizzera (suicidio assistito) o la Danimarca ("testamento medico").
Da noi, insomma, l'eutanasia non è ammessa anche se il malato è consenziente e la chiede lucidamente, perché sopraffatto da sofferenze insopportabili. Viene equiparata all'omicidio. È tollerata l'"eutanasia passiva": l'ordine dei medici infatti condanna l'accanimento terapeutico che - anche a nostro avviso - coincide con una stolta tortura.
Certo, la Chiesa e i troppo attaccati alle regole, i cosiddetti "benpensanti" solleveranno remore e proteste a non finire, parlando di "precedente pericoloso" e di sentenza che apre una "predisposizione giuridica all'eutanasia", ma a noi sembra questo un atteggiamento piuttosto bigotto, perché quando un essere umano ha perduto definitivamente la funzione psichica e quando è ridotto - in maniera assolutamente irreversibile - ad un vegetale; oppure quando soffre atroci tormenti senza speranza di salvezza, un gesto come quello del marito in questione, ci appare solo e soltanto un difficile, estremo, seppur lacerante, gesto d'amore.
Indubbiamente, gesti di questa natura, vanno vagliati a fondo, altrimenti sarebbe troppo comodo liberarsi di parenti molesti o da cui si spera di ricevere lucrose eredità, staccando la spina, o dando loro un "aiutino", per mandarli in fretta al creatore…
Inderogabile dovrebbe essere la regola di rispettare la volontà chiaramente espressa dal paziente; e quando non espressamente detta, dovrebbe essere ricostruibile attraverso testimonianze dei parenti più stretti.
Nel caso di Milano, la donna non aveva manifestato alcuna volontà, ma il marito ha sostenuto di "aver fatto "quello che penso mia moglie avrebbe voluto le fosse fatto in questa situazione".
Ognuno di noi dovrebbe essere libero di decidere sul proprio destino, compreso quello di por fine alla propria vita se le sofferenze si son fatte insostenibili, o se la vita diventa puramente quella di un corpo inerte e senza funzioni psichiche, privo di capacità intellettive.
Il fatto che la Chiesa cominci a condannare l'accanimento terapeutico non potrebbe essere un primo ragionevole passo verso una moderata e a lungo meditata eutanasia? Il fatto di sospendere cure inutilmente prolungatici di una vita ormai terribile, non è forse già una forma indiretta di eutanasia?
Scegliere di porre fine alle sofferenze, troncando la vita di chi amiamo, può essere un gesto - come ripetutamente sostiene Veronesi - di coraggioso amore, la dimostrazione che il nostro affetto travalica ogni egoistico desiderio di mantenere la persona amata in vita "per noi", per non volerci separare da lei a tutti i costi.
Certo è che ogni caso si differenzia per suoi connotati speciali e che non si possono creare regole fisse, applicabili come se la vita umana fosse un logaritmo o un problema matematico.
Unica regola fissa - a nostro avviso - resta quella per cui l'essere umano dovrebbe essere e comunque padrone del suo destino e delle sue decisioni, per laceranti e sofferte e dolorose che possano essere.
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 12 Settembre 2006