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Déco. Arte in Italia 1919-1939
Dopo la retrospettiva dedicata a Mario Cavaglieri e la mostra della “Belle Epoque”(1880-1915), Rovigo si va specializzando con successo in esposizioni che seguono un percorso di arte italiana a cavallo tra Ottocento e primi decenni del Novecento. La prossima, infatti aprirà il sipario sul Déco dal 31 gennaio al 28 giugno 2009, sempre a Palazzo Roverella, indagando questa volta l’arte nostrana tra le due guerre (1919-1939). Promossa dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo con Accademia dei Concordi e Comune, curata da Dario Matteoni e Francesca Cagianelli, diretta da Alessia Vedova, la mostra ha avuto un’allettante anteprima per la stampa, una carrellata per proiezioni di quanto verrà esposto nelle undici sezioni intitolate: «Inflessioni decorative del Déco; Verso nuove sintesi; Orizzonti esotici; Vittorio Zecchin e Murano; Déco tra vetri e dipinti; Divagazioni futuriste; Geometria del Futurismo; la severità del Déco; il sogno dell’antico; Giò Ponti: intorno alla Richard Ginori; Déco scolpito; il Déco nella grafica».
I curatori della mostra sono stati particolarmente esaustivi nel chiarire l’essenziale significato di Déco o Art Déco uscito dallo stereotipo stucchevole di caratteristica di una certa società borghese, cinica, snob, alla ricerca di nuovi elementi distintivi all’indomani della catastrofe della Grande Guerra. Déco ha finito di essere la maniera blasé di vivere e presentarsi di una certa élite, poiché proprio negli anni tra le due guerre si fa avanti la produzione di massa con riflessi nell’abbigliamento, negli oggetti d’uso e nei mezzi di trasporto: transatlantici, treni, automobili.
«Questo ci spinge – hanno sottolineato i curatori – a considerare il Déco come affermazione di modernità che riassume in qualche misura, rendendole domestiche e immediatamente comunicabili, suggestioni che potevano indifferentemente giungere dalle avanguardie così come dal ritorno al classico. In altri termini, possiamo parlare della modernità del Déco non solo come gusto, ma anche nel tradurre in segni facilmente assimilabili, meno provocatori, fortemente persuasivi e accattivanti, le formule dell’avanguardia, mescolandole sapientemente con i richiami del classico»
Dunque, non si preannuncia una mostra di nicchia, per addetti ai lavori, ma un ‘esposizione che potrà incuriosire pubblico di tutte le età (qui verranno, infatti, condotte anche le scolaresche). E qui si potranno, fra l’altro, ammirare pitture di Giulio Aristide Sartorio, di Alberto Martini (autore del ritratto della contessa Vally Toscanini, scelto come icona dell’esposizione) di Ferruccio Ferrazzi, Achille Funi, Mario Sironi, Felice Casorati, Guido Cadorin, Giacomo Balla, Massimo Campigli, Ernesto Trayat, con produzioni dell’architetto Giò Ponti e raffinati esemplari in vetro di Vittorio Zecchin.
Ancora una volta la donna è protagonista, non più vestita con boa e piume di struzzo, una donna nuova, con idee nuove in testa, pronta a sentirsi protagonista della società, moglie, magari madre di molti “figli per la Patria”, vista l’epoca in cui sta vivendo, ma anche donna capace di gestire imprese familiari, di svolgere lavori ritenuti improponibili nella “Belle Epoque” che l’ha preceduta, anche se è ancora lontana dal nostro tempo attuale, essendo una figura degli anni Venti-Trenta, non del Duemila.
Una mostra unica che propone una chiave di lettura del Déco finora in Italia ignorato, un vero specchio della società italiana del tempo, ancora alle prese col desiderio di far rivivere fasti impossibili, ma anche capace di stupire il mondo con gli aerei più veloci, i transatlantici più belli, le auto e gli altri prodotti di un’industria ancora autarchica. Non fruiremo, visitandola, solo di un’immersione in un particolare momento dell’arte, ma avremo una visione storico-umana di un passato nostro che non si cancella.
Grazia Giordani
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 20 Novembre 2008