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Conversazioni sul tempo Lezione prima
CONVERSAZIONI SUL TEMPO
Lezione prima
La storia è affollata di definizioni del tempo. Menti sopraffine e intellettuali si sono cimentati nella difficile impresa. Non è certo nostra ambizione – ritenendola una fatica vana – quella di aggiungere altre tessere a questo immenso mosaico di cui ci sfugge il perimetro. Ci consola il pensiero che persino un grande santo, che era anche un grande filosofo – Sant’Agostino -, nell’XI libro delle sue Confessioni, affermava che è veramente difficile rispondere alla domanda «che cos’è il tempo?», perché – diceva – se nessuno me lo chiede lo so, lo intuisco, ma se dovessi spiegarlo a un mio interlocutore, mi troverei subito in difficoltà.
Chi di voi avesse visto quel delizioso film Il tesoro dell’Africa, (titolo originale Beat the devil, 1954) di John Huston, con dialoghi di Truman Capote, non può aver dimenticato le spiritose battute: «Tempo, tempo, che cos’è il tempo? In Svizzera si fabbrica, in Francia è fermo, in Italia lo sprecano, in America dicono che è denaro e in India non esiste. Per me il tempo è una truffa».
Il tempo dunque è facile e naturale viverlo; diventa però materia complessa, insicura ed ingannevole se la si vuole pensare o discutere. Per non parlare della sua misurazione o del calendario che è il risultato di tante piccole guerre combattute nei millenni. Argomento – quello degli orologi e dei calendari – dentro cui ci rifiutiamo fieramente di entrare, atterriti dal ginepraio dei numeri, e anche perché questo non è il vero tema di nostri incontri.
Negli anni Sessanta non c’erano versetti della Bibbia più citati delle parole che si leggono all’inizio del terzo capitolo – nel libro di Qohelet - dell’Ecclesiaste, versetti che ispirarono persino la canzone intitolata Turn, Turn, Turn diventata poi un grande successo del complesso dei Byrds. Gli americani che erano giovani inb quegli anni ricorderanno che anche il presidente Kennedy amava quei versi che furono anche recitati al suo funerale. In essi è racchiusa una filosofia del tempo tra le più preziose. Nel testo biblico, dicono:
Tutto ha la sua stagione
Ogni evento il suo tempo
Sotto il cielo:
il tempo di nascere e il tempo di morire,
il tempo di piantare e il tempo di sradicare,
il tempo di uccidere e il tempo di medicare,
il tempo di demolire e il tempo di costruire,
il tempo di piangere e il tempo di ridere,
il tempo di gemere e il tempo di ballare,
il tempo di gettare le pietre e il tempo di raccoglierle,
il tempo di abbracciarsi e il tempo di allontanarsi,
il tempo di cercare e il tempo di perdere,
il tempo di conservare e il tempo di buttar via,
il tempo di strappare e il tempo di cucire,
il tempo di tacere e il tempo di parlare,
il tempo di amare e il tempo di odiare,
il tempo di guerra e il tempo di pace.
Dentro questa litania dei tempi scorre la vita umana, la storia, l’avventura delle ere: piccolo concentrato di verità che si contraddicono, che spiegano il perché della nostra infelicità senza mai perdere di vista il flusso che tutto inghiotte. Il libro di Qohelet il disincantato autore biblico fa anche entrare in scena una domanda terribile: «Che valore ha tutto ciò che si fa con fatica?», a cui risponde «Ho visto gli impegni che Dio ha dato agli uomini per affannarli. Tutte le sue opere sono affascinanti nel loro tempo. Nel cuore umano ha posto anche il senso dell’eterno, senza però che l’uomo riesca ad afferrare l’inizio e la fine della creazione divina. (…) Ho capito allora che l’unico bene dell’uomo è di starsene allegro e godersi la vita (mangiare-bere-godere)». L’autore biblico è consapevole che «chi più sa più soffre», anche perché «È già stato ciò che ora è, è già stato ciò che sarà».
Nessuna realtà legata all’uomo può vantarsi di essere eterna, nessuna cosa può sfidare il tempo. La stessa concezione permea anche il pensiero del mondo greco. Si legge nell’Odissea «C’è un tempo per ogni cosa»; e ancora ne Le opere e i giorni di Esiodo. Anche se il vocabolo tempo è parola latina (tempus) visto che i greci non avevano una sola parola per dire tempo. Per loro il tempo era una complessità di cui erano a tal punto consapevoli, che – per costruire un sapere che potesse valere per tutti - non trovarono via migliore che costruirlo fuori del tempo sub specie aeternitatis.
I greci conoscevano l’angoscia della caducità, ma sapevano isolarla e utilizzarla come un ingrediente per meditare. Si direbbe invece che Qohelet – che probabilmente scrive in una Gerusaleme che conosce il fascino delle idee greche e sente nella carne le furie ebraiche che la percorrono – non voglia calmare le mille domande umane, anzi è deciso ad agitarle. La sua litania implacabile non desidera nemmeno spingerci verso una fiducia nelle scelte divine, piuttosto si prefigge il compito di mostrarci l’intreccio di situazioni che ci avvolge. Impiega due vocaboli appunto per distinguere la «stagione» e il «tempo» che schiacciano i giorni dell’uomo. Egli sceglie zeman, ovvero un vocabolo aramaizzante, che è il numero di durata, la stagione, l’epoca, ovvero «l’ora in cui viviamo», il s chrónos dei greci. Decisamene diverso è il secondo termine ‘et che indica l’occasione favorevole, il tempo opportuno, l’attimo fuggente da cogliere, ovvero il ós dei greci .
Il freddo occhio indagatore di Qohelet spinge l’uomo nel mondo del disincanto, per cui l’agire umano è scontato, permeato di affanno e creatività allo stesso tempo.
Qual è il tempo dell’uomo?
Qohelet vede la vita come qualcosa che si dibatte tra il sorriso e le lacrime, tra il lutto e le danze («Meglio visitare una casa in lutto che visitare una casa in festa perché è a quella che approda ogni uomo (…) Il cuore dei sapienti è una casa in lutto; il cuore degli stupidi è una casa in festa»»).
Per l’agiografo biblico dunque «mangiare-bere-godere sono i tre verbi che fanno da rifugio, ma non sono la soluzione, piuttosto una sorta di anestetico per passare meglio attraverso alla danza dei giorni. La sua visione del tempo è anche una precisa descrizione della morte, l’unica certezza che l’uomo ha. Ci tiene davanti allo specchio soltanto per farci vedere meglio chi siamo e non per illuderci sul lavorio del tempo: «Né di un sapiente, né di un idiota avrà memoria il tempo».
Lasciamo da parte l’agiografo dell’ Ecclesiaste, e torniamo al mondo greco. È stato Orfeo, non importa se figura storica o personaggio puramente mitico, la cui fama era già ben diffusa nel VI sec. a.C., che chiamò Chronos, ovvero il tempo, il primissimo elemento, la causa prima di tutte le cose. Da Chronos – per il mondo orfico -, nacquero l’etere, il caos, l’amore, i venti, l’acqua, il fuoco. Nei frammenti che ci sono giunti di questa scuola si parla di cicli del tempo», di «ruota del destino e della generazione, di cielo delle nascite e della miseria».
La concezione ciclica del tempo, caratteristica dei greci, che più tardi si scontrerà con l’idea lineare , cara al mondo giudaico-cristiano, così come la divisione del giorno in dodici parti, gli antichi elleni la presero dai babilonesi. Nei primi filosofi naturalisti della Grecia antica – Anassimandro («Da dove infatti gli esseri hanno l’origine, ivi hanno anche la distruzione secondo necessità: poiché essi pagano l’un l’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo»; Anassimandro chiama questo tempo che fa giustizia chrónos, esso dispiega la totalità del tempo, rispetto a cui ogni epoca aión (aevum per i latini) sorge e svanisce. Ancora assertori del tempo ciclico sono la scuola di Pitagora, Eraclito ed anche Empedocle in cui la visione ciclica appare ben radicata. Eraclito infatti afferma che il processo temporale altro non è che un’illusoria apparenza dei sensi, una fallace opinione. L’essere vero – afferma questo filosofo – va cercato nell’eternità immutabile, «non è, né sarà, ma esiste nel presente tutto insieme.
Zenone si compiacerà di ridurre all’assurdo il movimento. E Melisso, l’ultimo celebre rappresentante di questa corrente, parlava dell’eternità dell’essere formulandola come qualcosa che sempre era e sempre sarà.
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 19 Febbraio 2009