I racconti di Grazia


Solitudini

Alzò gli occhi dal libro su cui li aveva posati troppo a lungo e lo sguardo le si fece torbido, come se un reticolo sottile si fosse frapposto fra lei e la realtà esterna, già preannunciato dal baluginare delle righe, ormai fattesi fluttuanti nella pagina. Vide la sua immagine riflessa nella grande specchiera di fronte al divano, avvertendo un’estraneità con la consapevolezza del suo abituale aspetto.
«Sono irrimediabilmente una donna di mezza età – si disse - ravviandosi i capelli scomposti. Chissà quante donne sarebbero più che appagate al posto mio: un matrimonio sereno che fila sulle rotaie di un sonnolento tran-tran; un figlio in procinto di avviarsi a una carriera solidamente borghese; nessuna malattia; una casa confortevole; un treno di vita decoroso, senza lussi, ma senza privazioni.
«Sono incontentabile. Pur vivendo in un paese fasciato dentro una provinciale ovvietà, perché avverto inquietudine? Voglia di cieli aperti? Perché faccio sogni ricorrenti, la notte, di battere un piede a terra e, per magia, di volare, trasportata da un vento dolce che mi carezza la pelle? E queste carezze si fanno insinuanti, percorrono ovunque il mio corpo, tanto che, al risveglio, avverto imbarazzo e un vago senso di trasgressione che mi stupisce e vivifica. Attendo quelle carezze con impaurita gioia, come una compensazione, un mio segreto diritto, qualcosa che fisicamente mi è dovuto.
«Sciocchezze! Vaneggiamenti! Rigurgiti di una fisicità che sarebbe bene tenere a bada, che il giorno si assopiscono e la notte si infiammano, sornioni abitatori del mio inconscio.
«Meglio accendere il computer, correggere l’ultima recensione, prima di inviarla al giornale. Meglio agire, operare, piuttosto di chiudermi in solipsistiche e sterili fantasie».
Nella home page le apparve il portale di un sito che non conosceva. Forse il figlio, facendo ricerche, aveva spostato qualcosa, navigando.
«InfiniteStorie» si chiamava questo sito di letteratura.
Un nome dal simbolismo accattivante, pieno di promesse.
Cliccò, si registrò con lo pseudonim di Helga, un nome che già le apparteneva; così si era chiamata infatti la protagonista di un suo racconto - L’eco della montagna - pubblicato con successo. Vagò nel sito, leggera, come se esplorasse un paese felice. Solo il sibilo della pentola a pressione sul fuoco seppe distoglierla. Meno male, stava quasi per bruciare una zuppa di verdure, rischiando il disappunto dei familiari per le sue annoiate propensioni domestiche.
Molto meglio scrivere, quello era il suo mestiere.
Entrò in un elenco di annunci, grande appello di amicizie letterarie.
Lo scorse interessata, afferrata all’improvviso da un’elettrizzante premonizione.
«Salve a tutti – si leggeva nella quarantunesima postazione – Sono un amante dei grandi classici del romanzo. Come ogni lettore, ho preso delle autentiche cotte per qualche scrittore, mentre invece qualche altro grande o presunto tale della letteratura, mi ha deluso. Proust ha detto: “Ogni lettore, quando legge, è lettore di se stesso”. Aveva ragione. Mi piacerebbe parlare con qualcuno delle reciproche passioni letterarie. Vi va ? Ciao e buona lettura a tutti. Silvano».
Questo annuncio aveva un’impressionante coincidenza di caratteristiche positive, ai suoi occhi: un lessico caldo costellato di parole amorose quali “amante” , “passioni” “cotte”e poi nulla di burbanzoso, altisonante, spocchioso, poiché sapeva parlare anche di “delusioni”. Inoltre era un cultore di Proust, e non maniaco solo delle novità, poiché continuava a stimare i classici, e non imponeva con tracotanza la sua richiesta («Vi va?») e aveva un nome agreste, profumato di brughiera, di frondosi boschi; sapeva di passeggiate tranquille, la mano nella mano, parlando di libri.
Non era donna dalle lunghe attese, seppur riflessiva, quando le pareva il caso di dover riflettere.
Rispose d’acchito all’annuncio.
Iniziarono giorni di delizie.
Gli amori letterari comuni si intrecciavano nel loro cielo virtuale con arioso battito d’ali; era un rimando continuo dalla Russia ( «Anche Dostoevskij, e Gogol? E Cecov?») alla Svezia (« ”L’oratorio di Natale”di Goran Tunstrom e Selma Lagerloff con la sua “Saga di Gosta Berling”), all’adorata Vecchia Inghilterra, con escursioni dentro le pagine di Thackeray e di Dickens. E fu proprio a proposito del grande Charles, che presero avvio le suggestive passeggiate letterarie descritte con sapiente brio dallo spiritoso interlocutore.
Silvano la portò anche nella Londra di Virginia Woolf,, con Mrs.Dalloway, quale guida d’eccezione; la condusse in una brumosa Milano con tappe “agre” nella vita di Bianciardi. Le fece conoscere un vasto gruppo di autori mitteleuropei, col denominatore comune di “misconosciuti”, perdenti, non per mancanza di qualità, ma per la discrezione con cui erano approdati nel pianeta letterario, senza baccano, mettendo sempre la sordina al pedale de loro strumento.
Questo era stato anche il destino dell’ ”idolo” di Silvano che si era riconosciuto in “Un amore” di Dino Buzzati. Storia di una sofferenza patita con consapevole dignità., con ironica classe.
I protagonisti di «Solitudine» che iniziavano, col progredire del loro scambio di idee e pensieri ad essere sempre meno soli, si rivelarono anche un piccolo segreto telematico: Il sito di Silvano – esperto del ramo per mestiere - con un suggestivo percorso letterario inglese da consigliare ai lettori; quello di Grazia, sintesi del suo cammino di scrittrice e giornalista di provincia.
Immaginarono tè virtuali bevuti insieme, riscaldati dal fuoco del caminetto.
Grazia cominciò ad immalinconirsi, quando lui la salutava per tornare al lavoro e credeva di vedere l’impronta del suo corpo rimasta impressa nei cuscini della poltrona, e ripensava alla piccola briciola di biscotto rimastagli ferma sul labbro. Come avrebbe voluto rimuovergliela con la punta della sua stessa lingua…! E questo non era il solo pensiero impudico che le suscitava il suo interlocutore virtuale.
Le carezze della notte non erano più originate dalla brezza sognata. Pensava alle mani di lui, mani gentili, mani dolci che la facevano star bene.
«La realtà supera sempre la fantasia – le scrisse lui in un pomeriggio ottobrino –. Mi sembravi un tipo interessante, ma così mi travolgi». A cui lei rispose: «Se fossimo dentro le pagine di un romanzo ottocentesco, direi (facendo vibrare le lunghe ciglia, come usava all’epoca; ora le donne non ricorrono più a questi femminili artifici) – direi – “Voi mi lusingate, signore!”»
Grazia gli inviò il suo racconto «La fotografia».
Che vi faremo leggere a parte, se a voi lettori potesse interessare, ai fini di meglio comprendere questa narrazione.
Scattò la molla di un momento fatale nella loro storia.
Silvano le scrisse: «…E poi il legame virtuale tra i due protagonisti mi tocca, anzi ci tocca da vicino. Non credi? Finora non avevo mai avuto un rapporto virtuale così intenso con un’altra persona. Ne avevo letto sui giornali, ma mi sembravano cose per ragazzi fanatici del computer. Mi ero convinto che Internet servisse a tutto fuorché a fare nuove conoscenze. Serie intendo. Questa nostra intesa, nata del tutto casualmente, mi stupisce e mi sorprende perché non so darle una spiegazione razionale. Comunque mi incuriosisce. Dove andremo a parare?»
Era giunto il momento di proporre a Silvano la scrittura di una loro storia a quattro mani, un loro romanzo nel romanzo.
A lui spettava l’onore (o l’onere?) dell’incipit.
Lei adorava quel suo stile brioso, volutamente minimalista, in perfetta sintonia con la sua assenza di autocompiacimenti ed arroganza.
Lo trovava adorabile, semplicemente.
Ormai sentiva l’azzurro assoluto dello sguardo di lui confondersi - non proprio liquefarsi – dentro la liquirizia delle sue pupille brune (Oddio, che frase barocca e démodée, però rende l’idea, anche se non è il trionfo del buongusto! Lui così essenziale, non scriverebbe mai una “sbrodolatura” simile…)
Silvano accettò.
Passarono giorni.
Mancavano pochi minuti all’arrivo del suo primo capitolo.
Con mani tremanti, Grazia accese il computer.
Outlook sembrava inceppato, non si connetteva.
Aveva dimenticato di inserire la spina.
Era eccitata.
Volava alto nei cieli del virtuale, consapevole che lui era un uomo in carne ed ossa, fortunatamente “senza pancia”, così si era descritto.
Finalmente comparve il suo indirizzo e-mail.
Bastava premere.
Ciccarci sopra 2volte2.
Ecco: A quattro mani brillava nitido nel mezzo del foglio.

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 18 Aprile 2006

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