I racconti di Grazia


Retromarcia

Retromarcia

Mi sembrava di essermi tolto un peso dallo stomaco. Non ho mai sopportato gli snob, le persone che sentono puzza al tuo passaggio.
Ma sì l’avrò annoiata con tutto quel bouquet di guai (magari un vero bouquet fiorito avrei dovuto portarglielo in dono, o farle il baciamano con l’inchino a quella grandonna, per persuaderla a scrivere la mia misera vita).
E poi perché ci tengo tanto a far sapere a tutti che sono un disgraziato? Adesso non mi va tanto male. E il pranzo (che ho ben poco mangiato, temendo anche di non reggere al meglio le posate) avrei fatto bene a pagarlo io. Mi son fatto mettere i piedi in testa. Ecco cosa ho fatto. E l’ho mollata in contemplazione del suo mare d’infanzia.
Non ho rimorsi, perché se possiede in quel luogo un delizioso monolocale, quasi un ventre materno, passerà lì la notte. Troverà bene il modo di scaldarsi. Avrà pure una stufetta. Abituata al mare d’inverno, sarà attrezzata. Nella valigia avrà pur messo pullover e scarpette di lana.
Che me ne importa?
E, invece me ne importa.
Ho già percorso dieci chilometri, ma adesso faccio retromarcia.
Sissignori, me ne torno indietro.

Se n’è andato, insalutato ospite. Mi ha mollata come una vecchia ciabatta. Ma non so dargli del tutto torto. Oddio, era noioso e sorbiva la zuppa di pesce come un burino, però dal suo racconto, mettendoci molto di mio, avrei potuto trarre qualcosa di interessante….

Non riesco ad inserire la retromarcia.
Che sia colpa del ghiaccio o un segno del destino?
Il destino ‘sta volta è neutrale: né mi ostacola, né mi aiuta.
Lasciai fare alla mia vecchia bagnarola con le ruote mezze consunte e il motore che gracchia…

Devo proprio essere un soggetto originale, oppure una donna troppo sola, incapace di amare e quindi di affezionarmi a mia volta. Però quel racconto delle piccole bare bianche e dell’odore di gelsomini sfatti stanotte non mi farà dormire, sebbene io adori (ecco un verbo lezioso che lui non userebbe mai; a vero dire neppure i congiuntivi gli sono poi tanto congeniali…) questo monolocale dove persino i pochi soprammobili parlano delle mani di mia madre. Ah! Le sue mani così agili e creative, le sue chiome color del grano maturo. Come avrei voluto aver in dono un decimo della sua bellezza. Dicono conti l’intelligenza, ma io sono troppo sofisticata, poco spontanea…

Ecco, ho ripercorso i dieci inutili chilometri e non so bene dove diavolo si trovi quel tanto amato monostanza o come meglio si chiami (e un congiuntivo, adesso mi è venuto spontaneo, chissà come sarebbe soddisfatta se mi sentisse madame).

Cosa farei se tornasse indietro?
Gli darei alloggio?
Nella poltrona letto dell’angolo?
(Che sia un uomo pericoloso?)
Però non mi piacerebbe rivedere come impugna il cucchiaio…

L’unica casa con i battenti delle finestre aperti non può essere che la sua. Chi vuoi che sia un’altra matta che se ne viene d’inverno in una zona così desolata?

E’ lui, è lui.
Riconoscerei il rantolo della sua Lotus tra mille….

Mi scusi, signora, ma mi sentivo così umiliato dal suo disprezzo, che sono scappato come un vero vigliacco.
La prego di perdonarmi.

Maddai, si era allontanato?
Sono così distratta da non essermene accorta.
(g.g.)

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 29 Dicembre 2013

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