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La paga del soldato
di William Faulkner, Adelphi

Faulkner: il romanzo dello straniamento
Riproposto ottan’anni dopo la sua prima pubblicazione dall’editore Adelphi, nella nuova traduzione di Mario Materassi, corredato di acclaranti note, «La paga del soldato» di William Faulkner (1897-1962), ora non si sa per quale capriccio editoriale, dilatato nel titolo in «La paga dei soldati» (Titolo originale Soldier’s Pay, pp.292, euro 19), conserva inalterate le stigmate del capolavoro. Quando il romanzo è uscito per la prima volta nel 1926, Faulkner ha trascorso gli otto anni dalla fine della Grande Guerra a raccontare episodi del conflitto, tanto che i lettori hanno potuto pensare che il protagonista della narrazione, Donald Mahon, fosse un “doppio” dell’autore. Nella realtà gli avvenimenti si sono svolti in ben altro modo, perché il nostro scrittore, a causa della bassa statura, era stato scartato dall’aviazione americana e arruolatosi poi in quella canadese, sotto falso nome, non aveva fatto in tempo a partire per l’Europa, prima dell’armistizio. Ma agli uomini di talento si può concedere qualche mistificazione, soprattutto se sanno darci simili prodotti letterari. Del resto, William irrequieto, irregolare e accanito bevitore, lo era anche per nascita se pensiamo al suo bisnonno, celebre avvocato, scrittore di successo, uomo politico, industriale, litigioso al punto da finire coinvolto in processi per omicidio, ucciso dal revolver di un ex socio, pazzo di gelosia. Nel Dna, il Nostro, portava il corredo delle doti che lo fecero scrivere poesie giovanissimo, seppur svogliato negli studi, e lo condussero al suo primo commosso romanzo di cui stiamo parlando, pur rifiutando cocciutamente l’editing. In epoca in cui decidevano il buono e il cattivo tempo grandi editors come Maxwell Perkins che faceva e rifaceva la prosa di Fitgerald ed Hemingway dicono che Faulkner si permettesse di affermare: «Posso ubriacarmi, incazzarmi, farmi scavalcare, qualsiasi cosa. Ma non mi faccio editare…» Ed, evidentemente, la sua fu una saggia scelta, se di romanzo in romanzo, nel 1950 ebbe il Nobel per la letteratura.
Quello che maggiormente affascina ne «La paga del soldato» è il geniale montaggio di echi letterari europei e modelli americani atti a creare un’intertestualità cara a Thomas Eliot, pervasa da violenti, irsuti, squarci lirici e crudi dialoghi regionalistici. Al centro del romanzo – scritto e ambientato negli anni Venti – vive (sarebbe più appropriato dire vegeta) il reduce orribilmente sfregiato in volto, senza parola, ridotto a un automa, emblema dell’Assenza, icona dell’uomo svuotato di tutto. Attorno a lui si agitano personificazioni dello sradicamento, della solitudine, del dolore, dell’amore sensuale. Donald Mahon rimane catatonico e ha significato solo nella vita retrospettiva, ricordata dalla sua gente, dal padre, l’ignaro pastore evangelista che si culla nell’illusione di vederlo guarire, da Cecily, la carnale fidanzata «insincera come un sonetto francese», dalla rude e fedelissima governante Emmy, un tempo sua amante per una sola notte e dalla giovane e affascinante vedova Margaret che esorcizza suoi personali sensi di colpa con l’attaccamento allo sventurato reduce.
Nel momento stesso della morte di Donald, al lettore è dato di comprendere il suo trauma, in un flash straziante che potrebbe farci ripensare alla tolstojana «Morte di Ivan Il’č».
Impossibile riassumere la trama di un romanzo fatto di atmosfere, stati d’animo, intessuto di citazioni letterarie, sparse con levitas, che vanno da Shakespeare, a Coleridge, a Wilde, a Eliot. Solo leggendolo si può apprezzare la finezza lessicale, la ricchezza e la complessità di una cifra stilistica che continua ad essere tra le più belle espressioni della letteratura americana del Novecento.
Grazia Giordani

Pubblicato martedì 2 dicembre in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 02 Dicembre 2008

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