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Autobiografia
di Thomas Bernhard, Adelphi

Il genio che mente sulla sua vita però fa letteratura


Il genio che mente sulla sua vita però fa letteratura

IL LIBRO. Autobiografia ardua e inconsueta
«Comunicare è falsificare»: avviso ai lettori di Thomas Bernhard

24/12/2011
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Thomas Bernhard

La corposa Autobiografia dell’austriaco Thomas Bernhard (Gmunden, 1931-1989) è proposta da Adelphi (631 pagine, 65 euro) nei cinque libri L’origine, La cantina, Il respiro, Il freddo, Un bambino, a cura di Luigi Reitani, indispensabile interprete di uno scrittore tanto grande, quanto elusivo per lettori non avvezzi a uno stile tanto lontano dalla consuetudine. Bernhardt richiede grande concentrazione, non solo perché ha fatto degli interrogativi estremi sul mondo il motivo portante della sua filosofia poetica. Bisogna intraprendere un viaggio doloroso dentro un’infanzia e un’adolescenza ulcerate dalla guerra e dalla malattia (tubercolosi). Un romanzo familiare pronto per un cultore di Freud: contraddittorio odio-amore per la propria città e immersione in un mondo di outsider, stranieri della vita, figure salvifiche per un giovane artista, altrimenti inerme nei confronti della crudeltà dell’esistere.
Non sarà per depressi, ma che lettura! Incuriosiscono le sottili differenze che si creano tra personaggio, narratore e autore; una polifonia che sarebbe piaciuta a Dostoevskij. Affascina la tecnica dell’artificio di cui parla lo stesso Bernhard: «Tutto nei miei libri — figure, eventi, azioni — si svolge su una scena››. La teatralità nel narrare è una costante che affascina, poiché tutti sappiamo che la vita com’è potrebbe essere piatta, se non viene sapientemente rinvigorita da abili ambiguità sceniche da un originale autore. In questo caso «un artista dell’iperbole», come autorevoli critici lo hanno definito. Osserva il curatore: «Qui l’autore diventa un Io e a quest’Io assegna un ruolo — quello del fool nel grande teatro del mondo. E, così facendo, non esita a rimescolare le carte, amplificando a dismisura concreti dati di fatto, montando arbitrariamente sequenze temporali disparate, tacendo episodi significativi, supplendo alle lacune dei documenti mediante la fantasia. Nulla l’Autobiografia ci dice sui tentativi di suicidio compiuti dallo scrittore, nulla sul decisivo incontro con la compagna Hedwig Stavianicek. Scarsamente plausibile è che la scelta di lasciare la scuola per iniziare un apprendistato nel commercio sia dipesa da un puro atto di volontà e non, come attestano invece i documenti, da una bocciatura». È l’autore stesso a sottolineare che «la verità la conosce solo l’interessato, ma lui stesso, nel momento in cui vuole comunicarla, diventa automaticamente un bugiardo. Tutto quello che si comunica può essere soltanto una falsificazione e una contraffazione, quindi sono sempre state comunicate soltanto falsificazioni e contraffazioni».
Questa pentalogia stranissima, al di là delle vertiginose architetture linguistico-musicali e delle riflessioni filosofico-maniacali, la narrazione scabra che nulla risparmia degli episodi più crudi ed urtanti, (vedasi i terribili convitti austriaci con sadici e ottusi «educatori» prima in divisa nazista e poi in abito talare), rende il merito a Bernhard di entrare a pieno diritto nella cerchia di spicco degli scrittori, quelli della letteratura che cavalca impavida il destriero dell’unicità.
Grazia Giordani

Pubblicato il 25/12/2011 in Arena, Giornale di Vicenza e Bresciaoggi



Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 07 Gennaio 2012

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