Recensioni e servizi culturali
Il rumore del tempo di Osip Emil'evic Mandel'stam, Adelphi
Se Stalin non fosse
SE STALIN NON FOSSE
CLASSICI. Esce da Adelphi «Il rumore del tempo e altri scritti», la narrativa del 1923-1925 del grande poeta russo
I capolavori di Maldel’stam descrivono gli anni prima del terrore rosso che lo travolse. C’è già una belva ma «della letteratura» e il furore è tutto di creatività NON FOSSE
03/06/2012
Veramente prezioso il volume di Adelphi con Il rumore del tempo e altri scritti di Osip Mandel’stam (209 pagine, 19 euro, a cura di Daniela Rizzi). Il libro comprende anche Teodosia e Il francobollo egiziano, oltre ad altre pagine dell’autore. Gli scritti sono degli anni 1923-1925. La narrazione è apertamente autobiografica e abbraccia quell’arco temporale che va dall’infanzia all’adolescenza, aprendosi con i primi ricordi, collocabili attorno alla metà degli anni Novanta del XIX secolo, e si conclude nel momento in cui l’autore inizia a scrivere versi. È la Russia dei fermenti rivoluzionari ma che non sa ancora di piombare nell’era staliniana che sarà fatale all’autore, destinato a scomparire nei gulag. Intento di Mandel’stam è riprodurre il «rumore» dell’epoca, quel concerto di suoni lievi o altisonanti, armoniosi o discordanti, ma sempre evocativi che fanno da fondale alla sequenza dei fatti biografici e ne rappresentano in un certo senso la trama, anche se non ce n’è una vera e propria. Rapsodica e discontinua, metaforica fino all’estremo, è uno dei più alti esempi di quella prosa assoluta che ha contrassegnato la letteratura novecentesca. «La mia memoria non è amorevole, ma ostile e lavora non a riprodurre, ma a eliminare il passato. Il raznocinec», il piccolo borghese russo spesso evocato da Mandel’stam, «non sa che farsene della memoria, gli basta raccontare i libri che ha letto e la sua biografia è bell’e pronta. Là dove per le generazioni fortunate parla l’epos in esametri e in cronaca, là per me c’è il segno dello iato e tra me e il secolo c’è una frana, un fossato, pieno d’un tempo rumoreggiante». L’epoca ci viene così offerta per ritratti, testimonianze, luoghi e persone, con il sense of humour tipico delle persone intelligenti. Mandel’stam cita episodi, personaggi ed eventi, raccontandoli in brevi, incisivi paragrafi. Così ci ritroviamo a Pietroburgo e ci mettiamo a cercare «la belva della letteratura», ma non tardiamo ad accorgerci che Gipius insegna in realtà «il furore letterario». Sentiamo il suo ruggito, visto che «dagli altri testimoni, egli differiva proprio per quella rabbiosa meraviglia. Aveva un atteggiamento belluino nei confronti della letteratura, come verso l’unica fonte di calore animale. Si scaldava alla letteratura sfregandosi ad essa con il suo pelo». Incontriamo Sergej Ivanyc in grado di dettare in una settimana, senza riprendere fiato, 135 pagine sulle cause della caduta dell’impero romano, eroe, costui, in egual misura posseduto dal demone della rivoluzione e da quello della cioccolata («Se Sergej Ivanyc si fosse tramutato in un puro logaritmo delle velocità astrali o in una funzione dello spazio, non mi sarei meravigliato: egli doveva uscire dalla vita, a tal punto era una chimera»). Splendide pagine ci parlano della libreria della prima infanzia dell’autore: Puskin, Lemontov, Dostoevskij, su cui vigeva un ferreo divieto, mentre tutto Turgenev che invece era permesso. E qui l’autore sa trasportarci oltre, fuori dal limite dai libri, facendoci volare alto con la sua fatata penna. Atmosfere di Crimea in Teodosia e clima surreale ne Il francobollo egiziano, dove la prosa si fa danza e dove il protagonista Parnok è a tratti alter ego dell’autore, a tratti un epigono de Il Sosia di dostoevskijana memoria, rivisitato con penna mirabilmente allucinata e visionaria. Assoluto capolavoro.
Grazia Giordani
Pubblicato domenica 03/06/2012 nei consueti quotidiani
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Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 03 Giugno 2012