Recensioni e servizi culturali
La vita di Čechov di Irène Némirovsky, Castelvecchi
Umanissima biografia romanzata
La vita di Čechov (Castelvecchi, pp188, euro17,50, traduzione di Monica Capuani) non poteva trovare penna migliore di quella di Irène Nèmirovsky per esserci descritta con la grazia ariosa e leggera, propria ad un animo femminile. Infatti, se Tolstoj ha rappresentato la fiammata delle passioni che travolgono e divorano – spesso qui chiamato in causa dall’autrice, proprio a sottolinearne il raffronto – Anton Čechov è l’umorismo sottile, l’animo delicato che sa, con dolcezza, trarre personaggi dalle persone. Non ci racconta l’eccezionale, la sua pagina non è dostoevskijanamente bagnata dal sangue del delitto e schiacciata dal rimorso, ma è vaporosa anche nel dramma, mai eccessiva, pur toccando le umane corde del dolore.
L’‹‹infanzia senza infanzia›› di Anton bambino, spesso percosso da un padre grossolano e bigotto (‹‹Mio padre cominciò a educarmi, o più semplicemente a picchiarmi quando non avevo ancora cinque anni. Ogni mattina, al risveglio, il mio primo pensiero era: oggi sarò picchiato?››) ci commuove, anche perché il futuro uomo di lettere non è rancoroso e cerca di trarre piccoli frammenti di felicità anche in quella vita di stenti e percosse ‹‹come una pianta che attiri a sé dal terreno più ingrato il nutrimento che le consente di sopravvivere››.
E così in questa splendida biografia-romanzo incontriamo Anton nei suoi anni ginnasiali, corteggiato dalle sue coetanee, incline a giocherellare con l’amore che non l’ha ancora preso nella sua rete; lo vediamo studente di medicina contentarsi di compensi da fame (otto copechi a riga), per i racconti che invia ai giornali – visto che il morbo della scrittura lo ha ormai preso senza possibilità di guarigione. E lo vediamo soffrire per l’ironia che gl’indirizza Tolstoj e per il flop in teatro di Ivanov e del Gabbiano. E lo incontriamo rallegrato e ripreso dal ravvedimento di pubblico e critici che hanno cambiato idea nei suoi confronti (Destino simile non era toccato anche al nostro Pirandello?). Si sa che l’opinione umana è balzana e mutevole. Questa non è certo una novità. Lo incontriamo medico amorevole curare la povera gente, gli umili contadini. Seguito dai suoi amatissimi cani Bromuro e Chinino. Le attrici delle sue pièce s’innamorano di lui. Sposerà Olga Knipper, la ‹‹sua tedeschina››.
Morirà, quarantacinquenne, con stoico coraggio – divorato dalla tisi - tra le braccia della moglie che troppo spesso l’aveva lasciato solo, ammalata di teatro, incapace di abbandonare le scene.
Non ebbe, nel complesso, una vita fortunata, nonostante la gloria letteraria, finalmente raggiunta, nonostante i bei viaggi in molte parti del mondo, con soste anche nelle principali città d’arte italiane (ma i musei sembravano annoiarlo . . .).
‹‹Una farfalla notturna – scrive con estrema poesia, Irène, descrivendo la sua fine – enorme e nera entrò in camera nello stesso istante. Volava da una parete all’altra, si lanciava sulle lampade accese, ricadeva dolorosamente con le ali bruciate, e riprendeva il suo volo cieco e fatale. Poi ritrovò la finestra aperta sulla dolce notte buia e scomparve. Čechov però aveva cessato di parlare, di respirare, di vivere››.
E noi abbiamo la sensazione di aver fatto un viaggio nella letteratura russa, attraverso la vita privata di uno dei più grandi scrittori dell’Ottocento e nel contempo dentro la testimonianza dell’incontro di due sensibilità tanto prodigiose ed affini.
Grazia Giordani
Grazia Giordani
Data pubblicazione su Web: 20 Novembre 2012