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Il buon informatore
di John Banville, Guanda

Capire tutto subito per capire poi che ci si è sbagliati
all’ambientazione dublinese anni Cinquanta, che fa da sfondo cupo ai thriller di John Banville, con Il buon informatore (Titolo originale The Lemur, Guanda, pp.137, euro 15, traduzione di Irene Abigail Piccinini) facciamo un ardito salto geografico, trasferendoci nell’attuale New York, quella convulsa e contraddittoria dei giorni nostri. La Grande Mela è descritta con tratti sapienti da una penna eletta come quella dello scrittore irlandese da tempo in odore di Nobel. Odore, a dire il vero, che si fa sempre più vago profumo, visto che intanto passano gli anni e nulla avviene.
Protagonista è John Glass, irlandese, come l’autore, un tempo cronista famoso e militante, in prima linea in tutti i fatti di rilievo del Novecento (Piazza Tienanmen, conflitto nordirlandese, l’Intifada), che in un momento di debolezza si è lasciato ora impelagare nella promessa di biografia di Big Bill Mulholland, il suocero plutocrate dai dubbi trascorsi, ex agente della Cia. Glass accetta l’incarico un po’ per noia – lavorare, si fa per dire, in quell’ufficio dalle pareti di cristallo, ai piani alti, fra le nuvole, lo sconcertava e gli procurava il capogiro -, molto per soggezione al suocero e non da ultimo, per la promessa del lauto compenso in danaro di un milione di dollari. Il romanzo si apre con un incontro alquanto caustico tra Dylan Riley,“Il Lemure”e Glass che sta considerando di assumerlo quale possibile assistente nella ricerca di dati sulla vita di Big Bill, temendo di incontrare punti oscuri ed inconfessati, dentro cui non saprebbe da solo come destreggiarsi. (‹‹Il cacciatore d’informazioni – leggiamo nell’incipit – era un ragazzo molto alto, magro, con la testa troppo piccola per la sua corporatura e un pomo d’Adamo grande come una palla da golf. (…) Con quel suo collo lungo lungo e quella testina piccola e quei grandi occhioni lucidi assomigliava tantissimo a un roditore esotico di cui lì per lì non gli veniva in mente il nome››). Sembra instaurarsi un’immediata aura d’antipatia tra l’informatore e il giornalista, tanto da presumere che l’accordo potrebbe vanificarsi.
La vita di Glass non è delle più confortanti. Si ha l’impressione che sia in una fase depressiva. Di professione, più che il giornalista, ora fa il marito di una donna ricca, con cui non condivide neppure più il letto, a parte gli agi di chi ha molti, troppi soldi. A questo si aggiunge un’amante segreta non perdutamente presa da lui e un figliastro di un’antipatia e una scontrosità più che indisponenti. Per non parlare dell’incombente suocero. Inoltre, detesta quel suo studio al trentanovesimo piano, dove suona l’allarme se tenta di fumare una sigaretta, tanto per cambiare, di proprietà del suocero. Proprio nel culmine dello stato di apatia di Glass che sembra rimpiangere la sua vita irlandese, negli anni in cui il giornalismo gli procurava grandi soddisfazioni, compare Ambrose, il poliziotto che gli porta la notizia di un misterioso omicidio: Riley, l’informatore, è stato ucciso con una revolverata in un occhio. Cosa aveva scoperto il “Lemure” di così pericoloso e sconvolgente da meritare la morte? Qualcosa su Big Bill o sullo stesso giornalista? Che volesse ricattarlo per via dell’amante?
Glass cerca per conto suo di venirne a capo e, quando credevamo di aver capito tutto, ci accorgiamo di quanto sia sofisticata la capacità di giallista di Banville, che ci depista, conducendoci nelle ultime pagine ad un finale a sorpresa, regalandoci un noir di rara incisività e potenza, impreziosito da paesaggi dell’anima e risvolti psicologici sempre inediti e molto raffinati.
Grazia Giordani

Pubblicato mercoledì 13 febbraio 2013

Grazia Giordani

Data pubblicazione su Web: 22 Aprile 2013

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