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A picco di Junot Dìaz, Bompiani

Amari squarci di vita latino-americana
Non ci stupisce che Junot Dìaz sia stato scelto da Newsweek quale rappresentante dei "dieci volti nuovi del '96". La "novità", che palpita dentro la pagina di questo scrittore, balza agli occhi leggendo il suo A picco, da poco uscito in Italia, per i tipi di Bompiani. Novità nello stile di lingua parlata (per cui è veramente utile il glossario essenziale posto in appendice che aiuta il lettore ad interpretare il lessico misto di Dìaz) e novità nella costruzione a flash del tessuto narrativo : questo modo di procedere avrebbe incantato Joyce, autore dell'Ulisse. Il linguaggio è crudo, ma non potrebbe essere altrimenti, visto che esce dalla bocca degli abitanti disperati, di dominicani dalla vita agra, degradata.
A picco è il titolo emblematico che racchiude in sé uno squarcio di società alla deriva : un padre quasi spietato con la moglie e con i figli, fedifrago, alla caccia di un lavoro che lo porta ad emigrare nei vagheggiati States, i figli Rafa e Yunior - che è l'io narrante della vita disgraziata dei personaggi -, inserita nel contorno di parenti straccioni. Sarà il protagonista-narratore a raccontarci del un suo amore "diverso", breve come l'infanzia del protagonista e del suo giovane amico, e a renderci partecipi della curiosità di scoprire cosa nasconde la maschera di Ysrael che ha il volto sfigurato da un maiale che gli ha sbranato i lineamenti.
Anche i risvolti più tragici della vicenda sono scritti con penna ironica, a mezza via tra l'amaro e il divertito, come se l'autore fosse ora fatalmente rassegnato e ora aspramente arrabbiato per uno stato di cose senza possibilità di miglioramento. A fare pena al lettore non sono solo i ragazzini che vivono dentro questo clima denso di miseria e privazioni, ma soprattutto la madre, quella "Mami" che vediamo in fotografia "...circondata da uno stuolo di cugini sorridenti... Mamma è seduta diritta e, anche fra la folla, spicca in mezzo a tutti, con un sorriso tranquillo come se fosse lei che tutti festeggiano..." La sensazione di "festeggiata" verrà presto cancellata dal volto e dai pensieri di Mami, la vita grama di Santo Domingo prima e degli States poi, non le regalerà certo troppi motivi di festa.
L'autore riesce a descrivere gli stati d'animo dei suoi personaggi con pochi, veloci tratti che li stilizzano, li caratterizzano, senza caricaturarli.
Certo è che non potevamo incontrare - nel nostro cammino di lettori - uno scrittore più iper realista di questo Dìaz che, descrivendo, una realtà tanto grama e sofferta, ci fa ringraziare il cielo di essere nati in una parte così lontana dal suo mondo, aliena da uno spazio in cui l'umanità è inguaribilmente relegata a vivere nelle retrovie, senza speranza di elevarsi, nemmeno emigrando. Quella del paesaggio intimo ed esterno dell'autore è una fauna umana fatalmente schiacciata, prevaricata di cui Dìaz porta sulla pagina l'amaro destino, con apparente distacco, ma noi non ci lasciamo ingannare e leggiamo fra le righe il rabbioso dolore di chi conosce a fondo la sofferenza della sua gente. L'autore, infatti, è nato a Santo Domingo, nella Repubblica Dominicana, e parla quindi dei luoghi del suo vissuto reale, da cui è riuscito ad emergere per viva qualità, pubblicando racconti in riviste letterarie quali : "Story", "The New Yorker", "The Paris Rreview", Best American Short Stories 1996" e su "African Verse". Attualmente vive a new York City, ed è bello constatare che anche se cavalca il destriero del successo, non ha dimenticato le sorti della sua gente.

Grazia Giordani

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