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Alfabeto eretico di Matteo Collura, Longanesi

ACUTE "VARIAZIONI" SUL LESSICO SCIASCIANO
Non solo ai musicisti è dato di comporre brillanti variazioni su temi di autori contemporanei o che li hanno preceduti nel tempo, anche agli scrittori di talento può presentarsi la stessa chance, soprattutto se sono entrati nel profondo dell'opera, in quanto conoscitori attenti di anima e cuore di chi l' ha scritta. E questa è ora l'occasione di Matteo Collura - giornalista culturale del Corriere della Sera, scrittore e saggista - che, con il suo "Alfabeto eretico", ci offre ancora una testimonianza dell'affetto vivissimo che lo ha legato a Leonardo Sciascia, suo amico e Maestro.
Già con "Il Maestro di Regalpetra" (Longanesi,1996), tradotto in Spagna da Alfaguara e di prossima uscita in Francia, l'autore agrigentino ci aveva dato prova di saperci offrire una biografia quale umanissimo viaggio dentro il vissuto dello scrittore scomparso, ripercorso dentro un attento esame della sua opera. E già in quel riuscito cimento letterario non era caduto nella trappola del farne un "santino", rischio in cui, ben sappiamo, è facile incorrere, parlando di un morto a cui si è stati lungamente legati da stima ed affetto.
Con la nuova opera, questo "Alfabeto eretico", composto da cinquantotto voci da "Abbondio" a "Zolfo", l'autore ci fa navigare dentro il mondo di Sciascia, approfondendone il pensiero e le ragioni dello scrivere, fortemente consapevole di "come le idee, i libri - quando sono buoni libri - ne creano altri, anche se non di uguale valore: così come non soltanto essi scelgono i "loro" lettori, ma li formano".
Da una silloge di voci messe insieme per la loro successione alfabetica, non deve essere stato facile trarre tanta coerenza logica, evidenziando filoni di pensiero che prendono avvio dal senso dell'"Amicizia", che nell'autore dell'"Affaire Moro" e dell'esplosivo articolo sui "Professionisti dell'antimafia" era forte, ma non quanto l'amore alla verità; passione - quest'ultima - che lo allontanò prima da Guttuso (a causa - diremo, per semplificare - di una non veritiera deposizione processuale, da parte dell'artista) e poi da Calvino, a cui era stato legato da lunga e profonda "consonanza" intellettuale: in questo caso fu il divergente senso dello Stato a creare frattura insanabile. Calvino non condivideva la visione di "desertificazione ideologica e morale", espressa dall'amico nel romanzo "Il contesto", e - pur amareggiato dall'assenza di un solido e credibile progetto politico - era determinato a un sostegno e ad una difesa dello Stato, sempre e in ogni modo. Sciascia, invece, era soprattutto consapevole di "essere cittadino di uno Stato in disfacimento, preda della corruzione, inefficace, ingiusto. Uno Stato, insomma, che così com' "era" rendeva corresponsabile del suo degrado coloro i quali andavano in suo aiuto."
Tutti i grandi del pensiero hanno avuto anche un peso profetico nella storia. Collura, a questo proposito, sa mettere in evidenza premonizioni non solo politiche in senso stretto, ma anche culturali e persino tecnologiche dello scrittore che ha lasciato un segno con romanzi come "Il giorno della civetta" e "Todo modo". Infatti, la voce "Cinema" presta l'estro al saggista - dopo aver ricreato una suggestiva atmosfera d'antan dei fumosi cinematografi di provincia - di metterci al corrente di come Sciascia non solo parli profeticamente del cinema, con belle metafore mutuate da Platone, ma anche "profeticamente della televisione, di una televisione che ancora - lui è morto nel 1989 - non aveva sperimentato su di sé e sugli spettatori quella sorta di contrappasso che la disinvoltura degli autori avrebbe intitolato "Il Grande Fratello". La televisione che guarda se stessa (e che alla fine ucciderà se stessa)"
Questo "Alfabeto", eretico come il suo ispiratore (mai irreggimentato dentro fila precostituite, un uomo che mai ha dato il suo cervello all'ammasso), non è dunque solo un mezzo per meglio approfondire l'universo sciasciano, ma è anche un avvicinarci al pensiero di artisti e scrittori a lui contemporanei e che gli furono cari - quali Borges e Pasolini -, o il ritratto di grandi del passato (da Pirandello e Voltaire a Manzoni e Stendhal) da cui trasse letterario e filosofico arricchimento. È la misura di un'epoca culturale ed umana (vedasi la voce sulla "Donna" ormai incurante di piacere a tutti i costi all'uomo, perché paga di piacere a se stessa, o la voce sul "Fumo", con la demonizzazione degli amanti del tabacco), e in fine, ma non in ultimo, è la prova letterariamente ben riuscita di un saggista che attraverso il pensiero del suo Maestro ci fa "entrare" nella sua terra d'origine, fermandoci a riflettere anche sulla staticità del "gattopardismo", pur determinati a sperare, insieme all'autore, che "le idee comunque muovano il mondo".

Grazia Giordani

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