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Carne e sangue di Michael Cunningham, Bompiani

UNA SAGA FAMILIARE ALLA RICERCA DEL SOGNO AMERICANO
Cento anni di vita, una saga familiare alla ricerca del sogno americano, sono chiusi e rivelati dentro le pagine di "Carne e sangue", l'ultimo romanzo di Michael Cunningham, che Bompiani ha portato in Italia nella splendida traduzione di Ettore Capriolo. Dello stesso autore americano (nato a Los Angeles e che vive a New York), già abbiamo avuto motivo di apprezzare il best-seller "Le ore", tradotto in ventisette lingue, insignito in America del Pulitzer Prize e del Faulkner Award e da noi, in Italia, del Premio Grinzane Cavour 2000, per la sezione narrativa straniera. E non ci meravigliamo che "Carne e sangue" abbia già ottenuto in patria il Withing Writer's Award, visto il raro talento di questo scrittore.
Sebbene i due romanzi trattino temi del tutto diversi, notiamo alcune sottili analogie, tenui fili sotterranei che sottolineano l'originalità dell'autore, che lo fanno essere coerente con la sua cifra stilistica, così come nei notturni di Chopin sentiamo vibrare la stessa malinconica melodia o come nei quadri di Caravaggio riconosciamo lo stesso studio della luce. Questo - in Cunningham - a proposito, per esempio, della moglie insoddisfatta californiana del primo romanzo, che trova un riconoscibile rimando in Mary, la madre capostipite della sua seconda opera: due donne dedite a confezionare meticolosamente torte e tutte e due inclini a rifugiarsi in un albergo, allontanandosi dalla famiglia, quando entrano - seppure per differenti motivi - in un clima di difficoltà.
È presto imprigionata in una "selva di delusioni" la famiglia Stassos, nei cento anni (!935-2035) che i suoi componenti vivono sul suolo americano alla ricerca di una felicità tanto vagheggiata quanto impossibile.
La scrittura ipnotica di Cunningham ci incanta, fin dalla prima pagina, presentandoci Constantine, il capostipite di origine greca, e poi quella che diventerà la sua graziosa moglie, Mary di origine italiana. Li conosciamo ragazzi, pieni di sogni, di grandi speranze. Li vediamo crescere. Conosciamo le prime ristrettezze economiche , e poi la ricchezza faticosamente raggiunta dal protagonista che - da manovale diventa imprenditore edile - e costruisce case di pessimo gusto, tutte apparenza, ma molto apprezzate dai neo americani.
Constantine non è certo un gentleman: ruspante, violento, tradizionale all'eccesso nei gusti e nelle scelte, ambiguo nell'interessamento troppo assiduo nei confronti di Susan, l'adorata figlia. Mary è latina solo nella bruna avvenenza, visto che nel carattere ci appare ben lontana dallo stereotipo della donna italiana, così perfettina, un po' surgelata, una Grace Kelly, formato provincia, per scelte di abbigliamento, arredamento della casa e atteggiamenti esteriori. Eppure sotto tanta ingessata perfezione covano dei malesseri, dei tic irrefrenabili: Mary è cleptomane e fatica a dissimulare delle crisi d'ansia che le mozzano il respiro.
Susan sposa, giovanissima, un ragazzo un po' troppo levigato e perfetto ("diffidate sempre dai senza macchia!" - sembra raccomandarci l'autore fra le righe della sua narrazione), ha una breve avventura, un'evasione soprattutto sessuale. Le nasce Ben, l'adorato e apparentemente perfetto figlio.
Susan è l'unica dei fratelli ad avere una vita esteriormente irreprensibile, con un marito di successo e una casa lussuosa nel Connecticut. Per gli altri discendenti degli Stassos, la musica suona diversa: Bill, troppo idolatrato dalla madre e incompreso e spesso percosso dalla violenza del padre, diventa un omosessuale, si accontenta di una professione modesta, nonostante la sua prestigiosa laurea ad Harvard, proprio anche per "punire" una figura paterna così incline a stigmatizzare ogni forma di diversità.
Zoe, l'ultimogenita, colleziona molte cadute e troppi errori, pur essendo una ragazzina sensibilissima ed intelligente. Vive un po' come una hippy, assume droghe, accoglie troppi ospiti maschili nel suo letto, si ammala di aids, da una relazione con un uomo di colore che l'abbandona, le nasce Jamal, il vivace figlio mulatto. Tra le sue conoscenze, entra Cassandra, una drag-queen, un travestito che per alcuni versi ci fa ripensare ad Agrado, il transessuale del celebre film di Almodòvar ("Tutto su mia madre"). Cassandra è colta, intelligente, ironica: uno dei personaggi più simpatici del romanzo.
Più o meno tutte le figure descritte incontrano delusioni, alcune di loro (Zoe e Ben) precocissime morti. Constantine e Susan, anche il divorzio e nuovi matrimoni, ma quello che affascina in questa saga degli Stassos, non è tanto la trama (che pure è di per sé molto avvincente, così ricca di colpi di scena), ma il mondo che riesce ad evocare, il clima che l'autore sa farci respirare, in senso metaforico e reale, visto che ogni suo personaggio emana un afrore o un profumo che ce lo rende riconoscibile: è come se Constantine, o Mary e tutti i loro infelici discendenti, avessero un'aura visibile ed olfattiva che ce li fa percepire, in mirabile modo.
Cunningham è originale anche quando fa entrare ed uscire i suoi personaggi (cfr, i preparativi di Natale nella prima parte del romanzo) dalla cornice di uno specchio, o fa vedere uno spettacolo televisivo, riflesso in un bicchiere di liquore.
L'autore non è mai cieco o indifferente nei confronti del male che spesso, irrimediabilmente, le persone fanno a coloro che amano, il suo universo di destini è soltanto apparentemente libero di seguire il proprio corso, votati come sono piuttosto i personaggi, a provare struggenti gioie e salvifici dolori a cui parrebbero predestinati.
L'amore sembra comunque trionfare sul dolore, anche se tanta "carne" è stata dilaniata dai tragici eventi della vita di uomini e donne a cui ci affezioniamo in lettura, pronti a chiudere gli occhi sulle loro debolezze e devianze, così come si è dimostrato incline il loro autore.

Grazia Giordani

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