Recensioni e servizi culturali
Che animale sei? Storia di una pennuta di Paola Mastrocola, Guanda
La bella anatroccola in cerca di identità
Si sente dire da molte parti che nel mondo vi sia bisogno di filosofia. A capire
quanto potrebbe essere gradevole il messaggio, se espresso in forma di favola,
sembra averlo compreso Paola Mastrocola, col suo nuovo romanzo Che animale sei?
Storia di una pennuta (Guanda, pp.189, euro 10). A giudicare dal gradimento
dei lettori, visto il successo di vendite, a pochi giorni dall’uscita
in libreria, quella dell’autrice torinese, più volte finalista
agli importanti premi letterari italiani e vincitrice del Campiello nel 2004
col suo bel romanzo Una barca nel bosco, è dunque una formula vincente
che ha avuto illustri antenati in La Fontaine e Andersen, da lei rivisitati
in chiave più ironica e aderente ai nostri giorni. Anche Angela Carter
ha scritto pregevoli favole per adulti, ma con piglio più sensuale e
cruento, esente da quella spiritosa leggerezza che la Mastrocola fa alitare
con grazia nella pagina.
Se alla nascita siamo abbandonati e ci troviamo senza genitori, né alloggio,
è un guaio serio, visto che dobbiamo darci da fare per scoprire la nostra
identità. E questo è il destino dell’anatroccola del breve
romanzo. Caduta, da un camion appena nata, la piccola finisce dentro una vecchia
pantofola, gettata nei rifiuti, che scambia per sua madre, pronta a darle quel
minimo di calore indispensabile alla sua sopravvivenza.
Se il piccolo Mowgli, l’eroe di Kipling, nello splendido romanzo I racconti
della jungla non ha consapevolezza di essere un umano poiché è
da Bagheera, l’amorevole coraggiosa pantera nera che riceve le cure materne,
non deve farci meraviglia che la pennuta si creda a sua volta una pantofola,
raffrontandosi con quella madre di feltro. Nel corso della narrazione –
a seconda degli incontri lungo il suo cammino - penserà di essere un
castoro e poi un pipistrello e finalmente una giovane anatra, quale realmente
è, gioiosamente in grado di rispondere, con cognizione di causa, a chi
l’assaliva col costante interrogativo: Che animale sei? “Tornò
a casa – conquistata la sua identità – saltellando per strada
e saltellando sul pullman, ripetendosi: sono un’anatra, sono un’anatra.
Stava diventando felice, perché, in fondo, è bello sapere chi
siamo. È un pensiero che ci solleva, e ci conforta anche nei momenti
più bui, quando tutto intorno cambia, diventi vecchio, magari perdi le
persone care, cadi in disgrazia, ti crolla la casa… Non importa, c’è
un’unica cosa che non cambierà mai: che animale sei. L’unica
tua incrollabile certezza.”
Ci parrebbe lapalissiano sottolineare- attraverso il viaggio della pennuta -
l’intenzione dell’autrice di evidenziare la mutevolezza della personalità,
soprattutto dei giovani che tendono ad “imbrancarsi”, prendendo
la forma del gregge a cui appartengono, alieni dal volersi differenziare, finché
la loro individualità il loro carattere non sono realmente formati. Le
metafore cui ricorre la Mastrocola sono volutamente trasparenti e di facile
lettura, anche quando l’anatrina troverà sulla sua strada uomini
di sapere, politici (esilarante la candidatura della piccola e la considerazione
dei politici, blateranti sul niente, che sembra avere l’autrice!) e due
genitori adottivi: Madame Gru, moglie di Fenny Cotter che, come tutti i bravi
mamma e papà di questa terra, si preoccuperanno del suo fidanzamento.
L’incontro fatale sarà con un baldo motociclista che sembra innamoratissimo,
ma che – come accade nella vita degli umani – si dimostrerà
presto un traditore, insomma, un dongiovanni, tendente alla bigamia. Anche il
tema della delusione amorosa troverà spazio nella pagina, legato a quello
dell’invidia e di tutte le terrestri implicazioni.
Ma non poteva mancare un happy end in una fiaba così graziosa. Sarà
un simpatico lupo, contornato da un’intera schiera di invisibili talpe,
a convolare a giuste nozze con la nostra giovane pennuta, fortificata dalle
sconfitte, resa pronta a fare oculate scelte: un lupo per marito può
essere ottima cosa, se ha cuore e voglia di render felice la sua giovane sposa.
Che la Mastrocola – scrivendo – pensasse anche alle multietnie e
ai matrimoni misti?
Non sappiamo. Solo lei potrebbe confermarcelo. Però, a questo punto decidiamo
di correggere il tiro. Nell’incipit avevamo scritto trattarsi di una favola
per adulti, ora siamo certi di aver letto una fiaba adatta anche ai bambini,
per la morale implicita e per la prosa limpida con cui è scritta.
Grazia Giordani