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Come Proust può cambiarvi la vita di Alain De Botton, Guanda

LEZIONI DI QUOTIDIANA FELICITÀ
La schiera dei lettori di Marcel Proust è sempre stata divisa in due nette fazioni: quella degli innamorati dell'autore della Recherche e quella dei detrattori per diffidenza, per pigrizia intellettuale o per partito preso. È proprio a quest'ultima fazione che si rivolge Alain de Botton con il suo sapido e ironico saggio, Come Proust può cambiarvi la vita, uscito da noi per i tipi di Guanda, tradotto da Livia Ferrari.
Si avverte, fin dalle prime pagine, che avendo studiato a Cambrige il nostro saggista non ancora trentenne, svizzero di nascita e londinese d'adozione, ha respirato a fondo l'humour di marca britannica, che trasferisce nella pagina - donandole levitas -, e quindi alleggerendone l'impegno intellettuale. Già autore di libri di successo quali: Esercizi d'amore, Il piacere di soffrire e Cos'è una ragazza, sempre pubblicati in Italia da Guanda, il giovane de Botton, smitizza ora l'aura di soggezione che suscita in alcuni la figura letteraria di Proust, proponendo una piacevole rilettura della Recherche e di quanto ha scritto sull'adorato Ruskin - critico d'arte inglese noto per i suoi scritti su Venezia, Turner, il Rinascimento italiano, l'architettura gotica e i paesaggi alpini -, alla luce di un'ottica nuova e più disincantata.
Saranno proprio le grandi infelicità proustiane a darci lezioni di quotidiana felicità. Sarà rileggendolo e soffermandoci a riflettere con gli "occhiali" di de Botton che trarremo una nuova morale dalla risposta che Proust scriverà in prima persona al quotidiano "L'Intransigeant" che poneva ai lettori il dilemma inerente l'impiego delle loro ultime ore di vita, in attesa di un apocalittico cataclisma. E il grande Marcel rispose: "Credo che la vita ci apparrebbe improvvisamente deliziosa, se fossimo minacciati dalla morte, come voi dite. Pensate, in effetti, a tutti i progetti di viaggi, di amori, di studi che la nostra vita contiene in soluzione. Invisibili alla nostra pigrizia la quale, sicura dell'avvenire, li rimanda continuamente". In analogia con la risposta data al giornale - rileva l'autore - Proust è vissuto fino alla morte lavorando a un libro in cui si proponeva di rispondere ad un quesito esistenziale non troppo dissimile da quello che gli veniva posto dall'"Intransigeant". De Botton trae dal grande protagonista del suo saggio anche lo spunto per spiegare come si debba leggere per se stessi: "Leggendo il nuovo capolavoro di un uomo di genio - sosteneva Proust - vi troviamo con piacere tutte le nostre riflessioni che avevamo disprezzate , le allegrie, le tristezze che avevamo contenute, tutto un mondo di sentimenti da noi disdegnati e di cui il libro dove le ravvisiamo ci rivela istantaneamente il valore". E ancora come sia opportuno prendersela comoda: questo a proposito dei rilievi fatti contro Proust da chi lo tacciava di lungaggini descrittive, al punto che la sua affezionata cameriera Céleste sosteneva che la Recherche non è opera da leggersi alla stazione quando siamo tra un treno e l'altro, a meno che non intendiamo attraversare le steppe siberiane, e il fratello Robert asseriva che per leggere quel romanzo si dovrebbe essere costretti a letto con un arto fratturato. Quest'ultima considerazione ci dà anche la misura della disistima di cui godeva in famiglia uno dei massimi romanzieri del nostro secolo e della conseguente mancanza di autostima da cui era penalizzato Proust stesso, figlio di una padre medico, scienziato di chiara fama e fratello di un giovane chirurgo, forte, sportivo, baldanzoso, in contrapposizione a lui così cagionevole, ipocondriaco e che sembrava non essere capace di trarre un ragno dal buco, secondo l'utilitaristica mentalità borghese. Per di più, come se non bastasse, Marcel era omosessuale, e quindi aveva una ragione ulteriore per sentirsi "diverso".
Eppure de Botton ci induce a una lettura non disfattista anche delle angosce esistenziali di Marcel, evidenziando come egli fosse in grado di "trasformare il dolore in idee": e qui sta veramente la sua grandezza di uomo infelice, ma che fa della infelicità un supremo risultato letterario; non ostante le sue umane sconfitte, i suoi mali corporali veri o solo immaginati, l'onnipresenza di una madre troppo amorosa e appiccicaticcia che lui amerà freudianamente, odiandola un poco.
Dalla lettura di questo curioso saggio semiserio traiamo grandi spunti anche sull'amicizia, apprendendo quanto Proust fosse generoso, sempre disposto ad offrire cene agli amici, lasciando il duecento per cento di mancia al personale di servizio, disposto non solo a parlare di sé, ma anche ad ascoltare gli altri con reale interesse, discreto, conversatore brillante, facile a socializzare, tanto "che avrebbe potuto fare ugualmente amicizia con un divano". Qualcuno lo accusava di proustificare, ovvero di esagerare in gentilezze, peccando di affettazione, dimenticando - questi superficiali detrattori - la sua necessità di ricevere affetto, offrendone ad oltranza, non comprendendo il suo bisogno di essere gradito e di piacere a tutti i costi agli amici.
Molto suggestivo il capitolo dedicato alla memoria "involontaria", fondamentale per comprendere l'opera proustiana, Chi non ricorda l'episodio della madeleine? È il dolce dell'infanzia ritrovata che riporta a Marcel un ricordo di anni che gli appaiono ancora più belli di come li aveva vissuti ("La memoria involontaria, la memoria degli occhi e dell'intelletto ci dà del passato soltanto imprecisi facsimile che non gli rassomigliano più di quanto le opere dei cattivi pittori rassomigliano alla primavera..."). Incontreremo anche consigli su come "essere felici in amore": "Vivete davvero con una donna - sostiene con saggio cinismo Proust - e non vedrete più nulla di ciò che ve l'ha fatta amare; ma, beninteso i due elementi distinti possono essere nuovamente riuniti dalla gelosia (...) Se appena temiamo di perderla, dimentichiamo tutte le altre. Sicuri d'averla per noi, la confrontiamo con quelle che subito le preferiamo".
Incontriamo un Proust fragile e indifeso, cinico e infantile, saggio e incoerente. Ma sempre umano e - attraverso la rilettura di de Botton - persino domestico, con le lacune di tutti noi mortali, con i tic e le incongruenze che ce lo fanno essere amico e rinfocolano in noi la voglia di rileggere - animati da pensieri nuovi - quel capolavoro immortale che è la sua Recherche, alla faccia di chi non lo sa o non lo vuole capirlo.

Grazia Giordani

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