Recensioni e servizi culturali
Con la morte nel cuore di Gianni Biondillo, Guanda
MILANO VESTITA DI “NOIR” DALLA
PENNA DI GIANNI BIONDILLO
Saper scrivere con ironica poesia non è da tutti. Eppure, Gianni Biondillo,
architetto e saggista, reduce dal grande successo del suo primo romanzo Per
cosa si uccide, sa coniugare questo ossimoro con mano felice. E la nostra voglia
di leggerlo aumenta, appunto, incontrando le pagine della sua nuova fatica:
Con la morte nel cuore, ancora per i tipi di Guanda, (pp.443 € 16).
Protagonista del polifonico romanzo è una Milano un po’stralunata,
con i suoi abitanti appagati da quello che brilla in superficie, forata da incolmabili
assenze. Nel mondo antieroico di questo vivace autore, trovano posto barboni
(un gran ritratto quello di Baffo, acquattato tra stracci e lamiere), mafiosi
pentiti, militari, extracomunitari, professori, maestri, pensionate, balordi,
in un valzer balzano della vita, dentro cui è costretto a muovere passi
di danza soprattutto l’ispettore Ferraro, antieroe per eccellenza, pronto
a compiere il suo dovere “con la morte nel cuore”, tanto poco gli
sorride la vita, nella sua grama esistenza di divorziato, che mangia cibi da
ulcera, inseguendo il sogno impossibile di conseguire quell’agognata laurea
lasciata a metà.
E questi studi sospettiamo, fin dalle prime pagine, che non raggiungeranno completezza,
proprio perché l’ispettore di Quarto Oggiaro dovrà rincorrere
un vespaio di casi che si intrecciano aggrovigliandosi, da quello di un ragazzo
scomparso nel nulla che dissemina tracce di ingenti prelievi sul conto in banca
della madre (spiritosa la descrizione di questa virago!) ai casi di stupratori
extracomunitari che sfuggono al linciaggio di cittadini, all’incontro
di teppisti che danno fuoco ai barboni. Quella zona movimentata non si fa mancare
proprio nulla: qui possiamo udire anche la sparatoria tra famiglie mafiose che
parrebbero mirare a un regolamento di conti. Insomma, il commissariato di Quarto
Oggiaro è troppo frequentato dal crimine, quello altisonante a suon di
pistolettate, cui si affianca quello buffo del furto di una dentiera a una vecchietta,
perché il nostro Ferraro («una bestia ferita, solitaria, senza
più famiglia, senza clan») possa attuare quel suo sogno di un dott.
anteposto al suo nome , così lungamente accarezzato.
Le serate del nostro ispettore sono il capolavoro della solitudine (e chissà
quanta gente nei grossi centri urbani vivrà questa stessa vita, estremizzata
qui dalla penna di Biondillo!). E il suo odio prenderà volo crescente
nei confronti della stampa e dei suoi pressappochisti addetti ai lavori.
Alla malinconia del trasandato ispettore (che la ex moglie critica con implacabile
giudizio negativo) fa da controcanto quella della sua città, in un gioco
della memoria non sempre realistico e veritiero. L’intimo dramma dei personaggi
è scandito da quello più vasto e globalizzante di una nevrosi
collettiva, sociale.
Lingua parlata e lessico letterario camminano all’unisono in un colorito
mariage che ci fa subito pensare a quanto sarebbe ghettizzante definire Biondillo
soltanto un giallista, pur riconoscendogli la capacità di costruire un
impianto percorso da sapienti ventate di suspense, con adeguati colpi di scena,
perché questo autore sa raccontarci il colore non certo limpido di una
città – fra debolezze e nevrosi dei suoi abitanti – spesso
venato di grottesco, in un vivido gioco di dialoghi brillanti, come se i suoi
personaggi calcassero il palcoscenico della vita, portando in petto un cuore
torbido, come torbida e scura è spesso l’umanità. Note satiriche
sono pronte, nella sua scrittura, a imparentarsi con tratti sentimentali, perché
Biondillo è uno scrittore vero che sa farci provare emozioni composite
che vanno dal brivido della paura, alla schietta risata, alla commozione, in
un vortice continuo e sempre sorprendente.
Grazia Giordani