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Cos’è una ragazza di Alain de Botton, Guanda

CHI DICE DONNA DICE ENIGMA PER L’ANIMO DEL SUO INNAMORATO
Già avevamo molto apprezzato il curioso saggio di Alain de Botton, Come Proust può cambiarvi la vita, uscito da noi per i tipi di Guanda, in cui fin dalle prime pagine, si avverte che - avendo studiato a Cambrige - il nostro giovane saggista , svizzero di nascita e londinese d’adozione, ha respirato a fondo l’humour di marca britannica, che trasferisce nella pagina - donandole levitas -, e quindi alleggerendone l’impegno intellettuale, in una piacevole e ironica rilettura della Recherche.
E ora, riconosciamo la sua cifra letteraria in Cos’è una ragazza, ancora per Guanda, nella spumeggiante traduzione di Livia Ferrari. Un romanzo arioso, in cui la londinese Isabel non sembra avere nulla di speciale, nulla di eclatante, ma che – vista dagli occhi dell’innamorato -, assurge all’altezza di personaggio degno di abitare le pagine di un romanzo.
Accusato dalle precedenti fidanzate di essere affettivamente lontano dal cuore e dal mondo femminile («dicevi di amarmi, ma un narcisista non può amare altri che se stesso. So che la maggior parte degli uomini ha un’idea vaga di come comunicare , ma la tua incapacità era tediosamente straordinaria. Non avevi rispetto per niente di cui mi importasse qualcosa, avevi sempre quella maniera prepotente di chi si considera più nel giusto rispetto agli altri» - gli scrive una delle inviperite), vuole correrete ai ripari, componendo una vera e propria biografia dell’amata, soffermandosi anche sulle cose minime, sui fatti irrisori che l’hanno vista protagonista, risalendo addirittura al suo albero genealogico, perlustrando i suoi gusti di lettrice, musicali, il suo amore per gli animali e – naturalmente – le sue propensioni sessuali.
De Botton si perde – con evidente autoironia - ad analizzare persino le quisquilie della sua donna, dando peso anche ad elementi buffi, come quando si cimenta nella pignola analisi grafologica di una banalissima cartolina, che la ragazza ha inviato identica a più persone, soffermandosi a considerare il modo in cui «intersecava la t e curvava, o più significativamente, non curvava la r. La calligrafia inclinata in avanti suggeriva un interesse verso gli altri, quella dritta era praticata dagli eremiti, la scrittura inclinata verso l’alto era segno di ottimismo, la scrittura inclinata verso il basso indicava depressione o stanchezza fisica…»
L’innamorato cotto filosofeggia persino sul guardaroba della sua bella, colpito dall’ «autocoscienza» o meglio dalla «consapevolezza fisica» che rappresenta, dato che Isabel era in grado di distinguere tra tutti i gradi «casual» che correvano dal più elementare al maggiormente chic: «la riunione dell’Associazione Giardinieri richiedeva una cosa, il compleanno di un amico tutt’altra».
Isabel aveva anche i suoi saggi principi morali e – sebbene non aderisse a nessuna fede in particolare -, «credeva in una religiosa distribuzione del bene e del male», in un continuo ed esilarante gioco di causa ad effetto: quando le accadeva un guaio, era perché doveva pagare per male azioni; quando le cose le andavano bene; era perché – giustamente – se lo meritava, in un manicheo sguardo sulla vita, in perfetta sintonia con la sua banalità. Banalità che sfugge solo al suo adorante innamorato.
E non dobbiamo trascurare nemmeno il modo in cui Isabel guardava i quadri nei musei, ovvero immaginandone il possesso, la convenienza di quale sarebbe stato meglio acquistare, al di là dalla valenza estetica dell’opera.
Ma l’indagine amorosa dell’autore, alla fine non viene premiata, perché l’Imprevedibile si stanca di essere così oggetto di puntigliosa ricerca, e non sa bene se liberarsi di lui o meno, in linea col suo incostante sentire.
Concludiamo, con lo scrittore, che l’animo di una donna, per il suo uomo, è un enigma irrisolto, e aggiungiamo di nostro che, De Botton, se si fosse liberato veramente di una simile londinese qualsiasi, avrebbe – come minimo – dovuto portare un cero al suo santo protettore…

Grazia Giordani

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