Recensioni e servizi culturali
Giorni memorabili di Michael Cunningham, Bompiani
LA TRIPLICE NEW YORK DEL NUOVO CUNNINGHAM
Ci sono romanzi già celebri prima ancora di essere scritti. Questo è
il caso di Giorni memorabili (pp.407, euro18) di Michael Cunningham, che Bompiani
ha portato in Italia nella splendida traduzione di Ivan Cotroneo.
Teatro dell’azione è una triplice New York: ottocentesca, attuale
e del futuro, vissuta da tre personaggi: Lucas, Simon e Catherine che nella
trilogia si incrociano, diversi e pur sempre quelli, un bambino una donna, un
uomo, in un gioco letterario caro all’autore. Proprio a causa della ripetizione
dello schema, nel suo nuovo romanzo, lo scrittore ha messo avanti le mani, temendo
di essere accusato di aver sfruttato un espediente letterario già messo
proficuamente alla prova nel mondiale successo ottenuto dal suo precedente best
seller: The Hours, vincitore del Pulitzer Prize, del Grinzane Cavour, che ha
saputo aggiungere ai premi della critica vendite colossali e diritti cinematografici
da capogiro.”Il travolgente successo di The Hours – ha precisamente
affermato - non mi incoraggiava a scelte letterarie che potessero attirarmi
le prevedibili critiche di chi mi avrebbe accusato di voler sfruttare commercialmente
una vicenda vincente. Avevo in effetti in mente ancora un trittico, ma questa
volta i tre protagonisti sarebbero stati fisicamente molto diversi tra loro:
un adolescente, una donna di colore, un androide; anche se in realtà
la loro anima è la stessa, quasi una sorta di reincarnazione. Un’anima
aliena dal male, disposta perfino all’autodistruzione, pur di portare
amore e pace”. Insomma, stando alle parole del nostro scrittore sulla
cresta dell’onda, non vi sarebbe stata scelta pro domo sua in questo suo
ripetere il canone letterario già vincente: la trilogia newyorkese, sublimata
da un nume tutelare importante come Virginia Woolf per The Hours e Walt Whitman
per Giorni memorabili. Dicono che a pensar male si fa peccato, pur avendo spesso
ragione. E noi, in questo caso, non possiamo nascondere la cattiva coscienza
di sentirci un po’ peccatori…
Già avevamo ammirato in Marta Cooley, nel suo pregevole romanzo L’Archivista,
la tecnica di affidare a un grande scrittore del passato – T.S. Eliot
- il compito di “nume tutelare” della narrazione; in Cunnigham questo
espediente letterario si fa ancora più forte, soprattutto nel suo nuovo
romanzo, anche perché, stando alle sue parole: “Questo poeta (Whitman
ndr) scrive nella fase ascendente della storia americana Foglie d’erba
manifesto di un’America grande e generosa. È una dichiarazione
d’amore per un’America giovane e aperta al futuro. Poi gli Stati
Uniti sono cresciuti, sono diventati più complessi, e, ahimè,
meno facili da amare. Perché si sono fatti più potenti, ma meno
grandi. Più aggressivi e più pericolosi per se stessi e il mondo”.
L’autore sembra voler sfidare coraggiosamente gli States, pur amando la
sua “memorabile New York”, inducendo il lettore a un viaggio interiore
attraverso i sentimenti primordiali, di amore, morte e misteri della vita, sublimati
dalla capacità salvifica della bellezza.
Il romanzo si apre con Nella macchina, il racconto – a nostro avviso –
artisticamente più riuscito per la vis lirica che lo permea. Siamo al
culmine della rivoluzione industriale, epoca di soprusi e di sfruttamento minorile,
di sartine indotte a prostituirsi per contrastare la miseria di quegli anni.
Lucas è un dodicenne gracile , costretto a prendere il posto di Simon,
il fratello morto stritolato dalle macchine nella fonderia in cui lavorava.
È un adolescente speciale, questo singolare ragazzino, dotato della capacità
di sentire la voce delle macchine, decifrandone i misteriosi messaggi e capace
di parlare con i versi di Foglie d’erba, tanto è innamorato di
Whitman. Le sue citazioni in versi, apprese per memoria involontaria, possono
essere appropriate o sconcertanti nonsense, atti a regalare poetico enigma alla
narrazione. Lucas ama di un suo ingenuo, adolescenziale sentimento, Catherine,
sposa mancata del fratello, al punto da offrirsi in sacrificio alla macchina
per costringere la ragazza ad accorrere in suo soccorso, sottraendola al pericolo
di morte certa in cui incorreranno tutte le altre filatrici, imprigionate nella
fabbrica. E l’autore sa creare un’abile mescolanza di storicamente
accaduto e letterariamente immaginato.
La seconda tranche si svolge nel nostro tempo (La crociata dei bambini) quando
Cat una poliziotta di colore, che ha perso il figlio Lucas, “redime”
un aspirante kamikaze, facendogli scoprire una nuova vita. “Rappresentare
dei terroristi bambini – ha affermato Cunningham – è un modo
per dire come ogni terrorista, in fondo, è un bambino, qualunque siano
la sua nazionalità e il suo credo religioso.” Qui non possiamo
trattenerci dal dissentire dall’autore, con tutto il rispetto per le sue
idee, perché un terrorista è per noi sempre un essere dannoso
e che porta morte, sebbene “creda ciecamente in una verità superiore”.
Nella terza parte (Come la bellezza) siamo in un futuro popolato da androidi
e da alieni, dove un mutante – Simon – ancora per merito di Whitman,
riscopre il senso e i valori più alti dell’umanità. Un inno
alla sopravvivenza.
I romanzi di Cunningham sono sempre eventi letterari, espressi in ipnotica scrittura,
con rara sapienza dell’intreccio e del rimando, ma noi non possiamo tacere
la nostalgia di The Hours meno artificioso, più verosimile e dotato di
una liricità più commovente.
Grazia Giordani