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Gli anni difficili di Almudena Grandes, Guanda
UNA STORIA D’AMORE DI TORMENTI E
DI SEGRETI
«Ho la faccia di un’antica pubblicità di olio d’oliva,
la voce profonda, le spalle larghe, i capelli e gli occhi neri e con i tacchi
arrivo a un metro e ottanta. Ho l’aspetto di una spagnola imponente e
dispotica, ma, in verità, cedo in fretta».
Così si auto presenta Almudena Grandes, una delle più note e amate
penne iberiche, in questi giorni in libreria col suo già acclamato romanzo
«Gli anni difficili» (Les aires dificiles) che Guanda ci
propone nell’elegante traduzione di Ilide Carmignani.
«È vero che sono una persona di carattere – prosegue nel
suo autoritratto l’autrice che un tempo fece molto scalpore col suo romanzo
erotico «Le età di Lulù, 1989» -, mi piacciono le
persone così, non mi interessano i passerotti, né maschi né
femmine, sono decisa, ostinata, con forza di volontà, però ho
un lato vulnerabile…»
E questa madrilena, quarantenne, porta più che mai se stessa dentro la
sua vigorosa scrittura, intrisa di spagnolo spessore, nel suo nuovo romanzo
dal forte impianto in cui Almudena, raccontando la vita di Sara Gómez
e Juan Olmedo, trova occasione per farci entrare dentro una complessa storia
di segreti, espressa con la struttura di un romanzo ottocentesco, ma con lo
spirito di chi guarda oltre e vede il domani.
Sì, lo “spirito” perché pregio grande di questa autrice
è quello di narrare compenetrandosi nell’animo e nel mondo dei
suoi personaggi che balzano in rilievo, venendo incontro al lettore.
Sara e Juan sono due naufraghi della vita, apparentemente slegati fra loro,
con nulla che parrebbe accomunarli, se non la provenienza geografica madrilena
e l’essere approdati in un piccolo paese del golfo di Cadice, percosso
dalla violenza del levante, «il vento (che) gonfiava i tendoni di tela
fino a staccarli dall’armatura di alluminio».
Incontrandosi, lentamente, riescono a costruirsi una “loro” famiglia.
Non a caso la Grandes sceglie questo luogo sulla costa meridionale spagnola
per teatro d’azione del suo romanzo, a ispirarla, spiega: «sono
stati i muri che circondano le case lungo la costa della baia di Cadice, muri
di un metro e sessanta per proteggere dai venti, il levante e il ponente che
soffiano furibondi, capricciosi, indomabili e imprevedibili, temuti, subiti
e rispettati come dei dell’Olimpo. Dietro quegli alti muri, mi sono sempre
detta, ci si può nascondere. Da lì è venuta la storia di
Juan e Sara che fuggono da Madrid per dimenticare e nascondere il loro passato
poco onorevole».
Lo spirito controcorrente dell’autrice lo si evince anche dal rovesciamento
anagrafico dei due protagonisti: cinquantatreenne lei, sola, ricchissima, nullafacente;
medico quarantenne lui, con una ragazzina a cui provvedere, entrambi alla ricerca
di un nascondiglio, di un luogo protetto, dove seppellire i propri segreti.
Sara, è una figlia adottiva, aspramente provata dalla vita – povera
di nascita, dopo aver conosciuto il benessere in una famiglia ricca, restituita
ai genitori d’origine – lotta con tutta se stessa, animata da sentimenti
di vendetta e desiderio sfrenato di rivalsa.
Juan, esce da una tormentata relazione con la cognata da cui ha avuto una figlia
e la vita non lo ha risparmiato, tanto da indurlo ad atti estremi.
Il passato non perdona e crudelmente riemerge non solo nel tormento dei ricordi,
ma anche nella persona di un inquietante poliziotto, nella solitudine misteriosa
delle desolate spiagge invernali spazzate dal vento.
Quando parrebbe impossibile sfuggire all’ineluttabile e persecutorio destino,
per Sara e Juan si apre uno spiraglio di luce.
Come sempre, in questi romanzi intrisi di mistero, svelarne del tutto la chiave
sarebbe il peggiore dei delitti letterari, possiamo però anticiparvi
che, a volte, persino un vento furioso come quello della costa spagnola può
avviarci a un happy end, soprattutto quando – come il levante –
è capace di «portarsi via tutto», soffiando anche dentro
la vita dei personaggi della narrazione, quasi a volerla ripulire da brutture
e tormenti, da soprusi e infanzie lacerate, mai del tutto rimosse, vibrando
più violento delle violente passioni, ma – in fondo – provvidenzialmente
purificatore.
Grazia Giordani