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I mandarini della piccola Atene di Enzo Fontana, Santo Quaranta

SPIRITOSO AFFRESCO DI TREVISO E DEL SUO LICEO BERSAGLIATO DALLE CONTESTAZIONI STUDENTESCHE
Verrebbe voglia di raccomandare ai professori o agli aspiranti presidi: " Per carità, non fate domande di insegnamento al "Canova" di Treviso! ", leggendo I mandarini della piccola Atene, il romanzo di Enzo Fontana, uscito per i tipi di Santo Quaranta, se non fosse che, fin dalle prime righe, salta agli occhi la vis ironica dell'autore che "fotografa" la sua Treviso e il liceo "Canova" usando di proposito un obbiettivo che sa enfatizzare o dilatare la realtà, con allure piacevolmente grottesca.
Nato nel '24 a Oderzo, Fontana vive dal '38 a Treviso, nella "piccola Atene", così definita nel '900 per la sua vivacità culturale, dove ha insegnato lettere, storia e filosofia e da dove ha certamente tratto spunto per la caratterizzazione dei suoi personaggi "docenti", ritratti ora con spirito al vetriolo, ora con animo dolente, preso sempre dall'inesorabilità del tempo che scorre.
Verrebbe voglia di esortare il corpo insegnante - dicevamo - a trasferirsi altrove , proprio per il malessere fisico e per la fatica di vivere che sembra stagnare nelle aule del "Canova", abbattendosi addosso ai personaggi, come una maledizione: " (...) Malossi nell'odio pareva affrontare se stesso, come se quella passione fosse troppo grande ed egli non potesse sopportarla, il volto, le caviglie aveva gonfi, di un colore malsano e il passo stanco. Né meno stravaganti mali ed incerti fantasmi, a causa dell'oscuro incantesimo, prostravano la restante milizia: Dominis e Alberti, naturalmente, ma anche Ferrauto sempre alle prese con il suo colesterolo e, da ultimo, lo stesso ferreo Murgia, cui un maligno vocabolario di greco, afferrato con la mano maldestra, aveva provocato, così pare, una banale contrattura......".
Le vicende del professor Lorenzo Alberti (personaggio principale e primo anche ad essere colpito dal male oscuro, da una " inquietudine inesplicabile ") si intrecciano alla storia del Canova - mitico liceo classico fondato nel 1807, al tempo del vicereame di Eugenio Behauarnais - e si collegano alla vita di Treviso, la " città bella ", arroccata dentro le sue mura, con le splendide chiese, gli eleganti palazzi, le " torri vermiglie ", bagnata da fiumi sinuosi, carezzata dalle " ciacole " morbide dei suoi abitanti.
Il napoleonico " Canova ", alla fine degli anni sessanta, è bersagliato dalle contestazioni studentesche, mollemente difeso dai suoi " mandarini ", come gli studenti ribelli definivano gli insegnanti del momento.
I grotteschi ritratti di professori e bidelli - a dir poco esilaranti - ci fanno pensare alla grande dimestichezza con i classici da parte di Fontana che sa stilizzare i personaggi con penna spietata e dolente ad un tempo, creatore di ossimori squisitamente riusciti, a cui fa da armonico controcanto il linguaggio colto e volutamente colloquiale.
Ad una prima lettura, verrebbe da dire che protagonista è Alberti con il suo perenne carico di lucida depressione, oppure che personaggio principale del romanzo è il " Canova ", vulnerato dai disordini studenteschi, oppure che è una enigmatica e sonnolenta Treviso, ma una meditazione più attenta sul pensiero dell'autore, ci persuade sempre più che protagonista dell'opera è il malessere quotidiano, quella insinuante, sottile fatica di vivere che inquieta la pagina.

Grazia Giordani

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