Recensioni e servizi culturali
Il club Gabriel opera prima di Jodeep Roy-Bhattacharya, Neri Pozza
IL MISTERO DELLA STAUA DI CERA
È un grande giallo psicologico, con colpi di scena alla Dostoevskij (e
non è difficile credere, per le ripetute citazioni anche in nota, che
musica e letteratura russa occupino l'interesse dell'autore), l'opera prima
di Joydeep Roy-Bhattacharya - "Il Club Gabriel" - che Neri Pozza ha
portato in Italia per noi nell'elegante traduzione di Isabella Ragazzi e Vincenzo
Mingiardi.
L'autore ha un passato di studi di politica e filosofia in India e negli Stati
Uniti. Attualmente vive a New York. Il "Club Gabriel" è la
sua opera prima ed è stato finalista del premio letterario più
prestigioso in India - il Crossword Prize -, insieme con "Una musica costante"
di Vikram Seth e "La terra sotto i suoi piedi" di Salman Rushdie.
Continua ambiguità e mistero sono gli ingredienti primari di una narrazione
tortuosa in cui passato e presente si rincorrono in una danza epilettica, atta
a creare inquietante interesse nel lettore. Il titolo del romanzo prende forma
dal Club Gabriel che vedeva associarsi un gruppo di "bastardi del loro
tempo" - quasi degli ungheresi "maudit" -, giovani artisti controcorrente,
impegnati a combattere il sistema con la forza della loro creatività,
ribelli alle convenzioni. Formavano "uno strano quartetto fortemente motivato",
all'epoca. C'era Andràs, uno scrittore che, vent'anni dopo, divenne molto
famoso, veramente sulla cresta dell'onda; Stefàn, il poeta irrequieto,
pazzo, torturato; Jànos, il gigante buono e ribelle; Immanuele, l'affascinante
donna fatale del gruppo clandestino, musa ispiratrice di tutti, colei che "aveva
preso il cielo a calci".
Il Club non aveva più avuto ragione di esistere non solo per la scomparsa
della bella musicista, ma anche in quanto divenuto "masochista, feticista
e nichilista", aveva fatalmente "dimenticato di come si fa a vivere".
Andràs torna a Budapest alla ricerca di un passato, svanito e forse in
parte rimosso, con la misteriosa scomparsa della maliosa Immanuele, volatizzatasi
nel nulla, insieme a sogni e speranze dei giovani, illusi di rivoltare il mondo,
con la forza ardente delle loro idee.
Vediamo la sagoma del protagonista stagliarsi lungo le rive del Danubio, in
un tardo pomeriggio eccezionalmente illuminato da una luce dorata, visto che
luci spettrali e clima piovoso sono una cornice costante della narrazione. Andràs
ritrova, con stupore, la natura paludosa e selvaggia di quei luoghi abbandonati
da così lungo tempo. Proprio qui l'attende il primo dei numerosi colpi
di scena del romanzo: la polizia pronta a chiedergli un inusitato riconoscimento.
Sulle acque del fiume è stata avvistata un'impressionante statua di cera,
lugubre e muschiosa che riproduce a grandezza naturale le sembianze di Immanuele,
con la testa cinta da una corona di rose rosse.
Il mistero si complica di pagina in pagina. C'è un diario della scomparsa
che appare e riappare per mani diverse; il ricordo del suicidio di Jànos,
fratello di uno sfuggente detective - Szeogedy - fin dall'inizio ostile ad Andràs
e pretestuoso nelle sue indagini; il suicidio di Stefàn; una ridda di
figure femminili, fra cui spicca la presenza-assenza di Immanuele; Ami la morbosa
gemella di Andràs; Clio figlia del detective e amica nel passato di Immanuele.
Questo solo per anticiparvi qualche risvolto e qualche nodo dell'annodatissima
vicenda che si svolge in un clima torbido e surreale, abitato da personaggi
dalle movenze isteriche, ambientati in una Budapest degli anni Novanta, estremamente
cupa e malinconica.
Non mancano accenti pruriginosi, espressi dall'amore incestuoso (quasi una compenetrazione,
un transfert dell'uno nell'altra) da parte dei due gemelli Ami ed Andràs
e inoltre un momento lesbico tra la vagheggiata Immanuele, prima della sua scomparsa,
e la poliedrica Ami, aperta a tutte le esperienze.
Andràs, in quanto a lui, ha amato di pari amore le due donne insieme
e attualmente convive con la sorella, rimasta gravemente colpita da un incidente,
ancora una volta a sorpresa, una fra le tante sorprendenti vicende della narrazione.
Anticiparvi il finale è l'ultimo dei nostri pensieri. Sta al lettore
adesso il compito di addentrarsi dentro l'intrico reale e psicologico delle
pagine, rigate da una pioggia battente, illuminate dalla livida luce riflessa
da paesaggi esterni e torbide coscienze.
Grazia Giordani