Recensioni e servizi culturali
Il dolore perfetto di Ugo Riccarelli, Mondadori
UN SECOLO DI DOLORE TRA AMORI ED ANARCHIA
Sarebbe piaciuto ad Elsa Morante ed incontrerebbe il gradimento di
Garcia Marquez, per gli abbandoni sapienti a un delicato “realismo magico”,
il nuovo romanzo di Ugo Riccarelli – Il dolore perfetto – (Mondadori),
grande affresco del secolo che ci lasciamo alle spalle, dallo sbarco di Pisacane
al secondo dopoguerra, rivisitato soprattutto attraverso le vicende parallele
e confluenti di due famiglie: i Bartoli idealisti cultori della libertà
e i Bertorelli, più inclini a una visione materialistica dell’esistenza.
L’area geografica, teatro della narrazione, è soprattutto la Toscana,
nel paese di Colle, lambito da un lago acquitrinoso, Padule, in cui sembrano
specchiarsi molte delle vicende che si rincorrono nel corso della narrazione.
Proveniva da Sapri, ancora fresca delle utopie risorgimentali, uno dei personaggi
principali del romanzo, il Maestro, giovane anarchico, generoso, riservato e
dalle idee ben determinate, che perderà la vita durante sommosse milanesi,
folgorato dallo sparo di un soldato di Bava Beccaris che equivocherà
il suo grido «Libertà!», attribuendogli un significato di
ribellione, mentre era solo il nome della figlia che lo sventurato stava chiamando
a gran voce. Del resto, anche gli altri figli del Maestro, per lunghi anni esule
e carcerato, proprio a causa dei suoi convincimenti politici, avevano nomi simili:
da Ideale a Mikhail e Cafiero (che verrà poi chiamato “Nocciolino”,
in quanto sfuggito, ancora in fasce e finito sui rami di un nocciolo, dalle
braccia della madre – suicida per disperazione, sotto le ruote di un treno
- distrutta dai lutti della sua sventurata famiglia). Nel colpo di scena della
magica salvezza di Nocciolino, come nel profumo di viole che accompagna nascite
e morti di alcuni personaggi, troviamo quell’afflato favolistico che regala
un’atmosfera piacevolmente fatata a tutto il contesto narrativo, come
se favola e realtà sapessero abilmente coabitare nella pagina.
Contrapposti agli idealisti – dicevamo più sopra – camminano
in parallelo i Bertorelli, commercianti di maiali, che da generazioni ammirano
l’epopea omerica e portano i nomi di quegli eroi da Ulisse a Telemaco
e Penelope, solo per citarne alcuni.
Ulisse e Rosa sono una coppia quanto mai spaiata: sanguigno, attaccato all’interesse
venale lui, sognatrice e poco aderente alla realtà lei. Finiranno male
entrambi: Ulisse, in preda alla follia, suicida, dopo aver stuprato la cognata
e indotto la moglie alla fuga con le sue crudeltà ed incomprensioni.
Dal loro matrimonio nasceranno due gemelli: Sole che fuggirà in Oriente,
metafora del sogno e della corsa verso la libertà interiore, e Annina,
il personaggio femminile più interessante del romanzo, per cervello e
cuore. Le due famiglie si uniranno proprio con l’incontro di Cafiero (Nocciolino)
e Annina, stretti da un amore grande e fatale.
Il «dolore perfetto» da cui prende il titolo il romanzo abiterà
sempre la pagina, anche se espresso in maniere diverse: «le cose son cose
– penserà, in proposito Annina – hanno una vita loro, hanno
forme, pensieri, hanno età e persino un colore. Siamo noi a dividere,
a costruire barriere, ad alzare, abbassare, a dire chi è buono e cosa
invece è peggiore. L’Annina capì così la distanza
tra la madre e l’Ulisse. La sentì forte, batterle il petto. Una
botta improvvisa, una crepa sul cuore. La ferita bruciante di un dolore perfetto.»
E ancora il medesimo sentimento ritorna, finemente descritto dall’autore,
quando il Maestro morente «giunse alla fine del respiro, in quel momento
minuscolo, in cui tutto è sospeso, si rese conto di essere solo, e un
dolore perfetto lo avvolse come un abbraccio.»
In questo polifonico grande romanzo a più voci, dentro cui si coagula
molta parte della nostra Storia grande – vista attraverso le storie piccole
–, attraversata da guerre, dal sogno socialista, tra ribellioni e carneficine,
vivono molte trame fatte anche di amori struggenti e folgoranti passioni e qui
trova posto persino la macchina per il moto perpetuo, divenuta metafora del
progredire delle vite coi loro destini, vulnerati dall’inesorabile dolore.
Questo di Riccarelli, così giocato nel duetto continuo tra realtà
e magia, è dunque e senza dubbio, uno dei romanzi italiani più
forti, maturi e completi per stile e contenuti, che nel corso degli ultimi anni
ci è stata data opportunità di leggere e recensire.
Grazia Giordani