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Il ritorno a casa di Enrico Metz di Claudio Piersanti, Feltrinelli

Un avvocato piccolo piccolo
Col suo nuovo romanzo “Il ritorno a casa di Enrico Metz” (Feltrinelli, pp.204, euro 15), Claudio Piersanti – già tanto apprezzato dal grande pubblico anche per la sua qualità di sceneggiatore al fianco di Mazzacurati, premiato col Viareggio Rèpaci nel 1997 con “Luisa e il silenzio”, solo per citare uno fra i suoi libri più noti – tratta il tema spinoso dell’invadenza ad ogni livello della politica italiana, sottolineando la chiusura del nostro paese in una gabbia di mediocrità.
Certo, se l’autore si fosse limitato a rilievi socio–politici, avrebbe scritto aride pagine destinate agli addetti ai lavori; abilità dello scrittore, pur ispiratosi per sua stessa ammissione a un industriale vero, strozzato dal sistema italiano perché troppo potente, sta nel rendere la letteratura specchio della vita, facendo sì che l’espediente letterario renda più suggestiva e coinvolgente la realtà dell’Italia d’oggi, osservata dal suo implacabile sguardo.
Enrico Metz è dunque un avvocato, primo e unico consulente nelle strategie segrete di un ricco industriale, simile a un Raul Gardini che si era illuso di far tremare i santuari del capitale nazionale, per poi trovarsi rovinosamente coinvolto in uno dei più schiaccianti crack finanziari. Questo uomo di legge, esperto di diritto internazionale, in conseguenza della caduta in disgrazia di Marani, il plutocrate di cui aveva curato le vicende finanziarie, decide di tornare a vivere in provincia, nella sua piccola città natale. Ci aspetteremmo una depressione insanabile, un trauma catastrofico da parte di chi è vissuto a fianco del potere, ai livelli più alti, invece Metz sembra cercare soprattutto la semplicità, nostalgico persino del profumo della neve e della nebbia, desideroso di una dimensione più intima e raccolta della vita.
E così il protagonista di questa nuova dimensione vitale, ritrova la casa paterna. E quando Piersanti descrive gli interni di un’abitazione l’ “arreda” con una precisione scenografica talmente visiva, da farci entrare fisicamente nella sua pagina, così come ci fa vedere veramente il lussureggiante e un po’ caotico giardino dell’avvocato che si immerge in un abulico, nuovo spessore esistenziale.
Metz, ora si lascia vivere, confortato da qualche bicchiere di troppo, dalla cura del suo giardino, dal recupero della figura paterna, dal rammarico di non aver seguito di più la crescita dei tanto amati figli gemelli ora lontani non solo fisicamente. Medita sull’ingiustizia sociale che ha favorito economicamente il più sciocco degli amici, penalizzando il più dotato intellettualmente (ma questa, nella vita vera degli individui non è certo una scoperta!); involontariamente offende l’orgoglio dei notabili locali, rifiutando la proposta di cariche politiche, sopportando quindi la perfida persecuzione umana e fiscale. Il suicidio di Marani – che per lui rappresenta una dimensione dell’uomo che ha tentato di dominare gli eventi, con la forza di un eroe mitico - è il colpo di grazia per l’estraneità a tutto in cui si sente caduto. Nella sua città il metro di misura è quello della meschinità: tutto deve essere “piccolo” dalla borghesia, alla politica all’industria, ai sentimenti soffocati dalla forza del denaro.
A questo proposito torna in mente anche a noi Leo Longanesi che sosteneva come non fosse un male essere borghese, mentre cosa triste sarebbe essere “piccolo-borghese”.
Novello Oblomov, testimone dell’inattività più assoluta, Metz si chiude sempre più nei limiti della sua abitazione, autoconfinatosi in casa e giardino. Correrebbe il rischio di seguire l’esempio di Marani, se a salvarlo non fossero le donne e il culto che gli resta per la bellezza. Bellezza drammatica di un temporale in arrivo; bellezza armoniosa del micio Attila di cui ammira la grazia di idolo egizio.
Sì, le donne gli si stringono intorno in una cerchia salvifica. L’iperattiva Ivana, la moglie – che si risolverà a lasciare il suo ritenuto irrinunciabile lavoro milanese, tornando al suo fianco in provincia – la segretaria governante Rita concessiva di anche troppo affettuose cure, la bellissima Eleonora che susciterà in lui gli ultimi irrealizzati barlumi di desiderio, sentimenti complessi tra il paterno e l’incestuoso.
Nell’autore piace soprattutto la capacità di non dimenticare mai la forza della poesia, l’afflato lirico forte, assiduo frequentatore della sua pagina, pur trattando temi sociali, riflessi di un mondo di cui Piersanti stigmatizza il degrado e l’imbarbarimento.

Grazia Giordani

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