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Il sorriso etrusco di José Luis Sampedro

VA' DOVE TI PORTA IL NONNO
In questi nostri anni il pianeta-libro è irrorato da molteplici vene di sangue diverso che - partendo dal più efferato "cannibalismo", arrivano alle dolcezze eccessive del "tiamismo", quello in cui la Tamaro è stata maestra, con il suo discusso best-seller Va' dove ti porta il cuore. L'ultimo romanzo di José Luis Sampedro, Il sorriso etrusco, uscito in Italia per i tipi del Saggiatore, che ha venduto in Spagna ben quattrocentomila copie, può rientrare in quest'ultimo genere letterario, assai gradito da chi ama un genere sentimentale, che privilegi i sussulti del cuore.
L'autore, nato a Barcellona nel 1917, professore di Struttura Economica dal 1955, è stato nominato senatore per designazione reale nella prima legislatura post-franchista. Tra i suoi romanzi: La estatua de Adolfo Espejo, La sombra de los dìas e La vieja sirena. Membro dell'Accademia Reale Spagnola, vive a Madrid e - nel corso di una sua recente intervista radiofonica - ha puntualizzato i motivi per cui ha preferito ambientare la vita del protagonista ex partigiano in Italia, piuttosto che nella sua Spagna, nei luoghi dove in prima persona proprio ha vissuto simili esperienze e ha sottolineato come nel suo romanzo sia messa in forte rilievo l'antitesi tra il mondo industrializzato nei confronti di quello rurale. L'autore ha inoltre posto in luce il contrasto tra chi incontra una morte asettica nella stanza di un ospedale, rispetto alla fine di quanti possono morire nel proprio letto, confortati dall'affettuosa e domestica presenza di volti familiari, sostenendo che in queste antitesi trova spazio il tema forte del suo romanzo. Per ricreare il clima e la lingua calabrese - visto che Salvatore il protagonista del libro è un vecchio contadino di quella terra - Sampedro si è avvalso di un testo di Domenico Pitelli che "conserva" - secondo quanto l'autore spagnolo scrive in epigrafe - "viva tra le pagine l'atmosfera di una nobile città e delle sue tradizioni".
Nell'intento di rendere in maniera verista la "meridionalità" del personaggio maschile, forse lo scrittore di Barcellona è stato più realista del re, con tutto quell'aroma d'aglio e di usi paesani che il vecchio Salvatore rimpiange, e con la conseguente abbondanza di stereotipi del Sud.
Il protagonista -, colpito da un male che non perdona, deve lasciare la primitiva vita rurale della sua Roccasera, per recarsi a Milano dove il figlio Renato e la nuora Andreina dovranno provvedere a farlo curare da un illustre oncologo. L'impatto con la vita di città priva dei sapori, degli odori sapidi della sua terra disorienta il vecchio che sembra non sapersi adattare ai ritmi della vita milanese. La città è per lui sinonimo di un mondo enigmatico, senza tradizioni, un mondo senz'anima che sembra avere spersonalizzato il figlio che gli appare succube di una moglie troppo ambiziosa e carrierista, in netto contrasto con le donne sottomesse e discrete della sua famiglia.
A riconciliarlo con la vita milanese, così estranea ai suoi gusti e alle sue aspettative, sarà la scoperta del nipotino Bruno, un delizioso bambino che si impossesserà incondizionatamente del suo cuore. Tra nonno e nipotino si instaurerà un vero dialogo d'amore che non ha bisogno di parole, anche se le prime parole e i primi passi il piccolo li riserverà proprio a lui, a questo nonno così perdutamente investito del suo nuovo ruolo. La convivenza intensa tra Salvatore e Bruno creerà il pretesto per continui flash-back che rinvieranno il vecchio alle sue imprese partigiane sulla Sila, alla sua storia con Dunka, la coraggiosa "pianista con il mitra", compagna di avventure guerrigliere e al suo odio per Cantanotte, nemico mortale che gli darà la grande soddisfazione di precederlo nella morte. Il nonno calabrese è dunque capace soprattutto di sentimenti di fuoco che vanno dall'amore all'odio e imparerà proprio dal nipotino le vie di mezzo della tenerezza e dei sentimenti più sfumati e delicati. Salvatore è estremamente maschilista, scandalizzato che la nuora sia aiutata dal figlio nelle mansioni di casa, molto macho nei pensieri e nelle scelte di vita, ma il rapporto con il delizioso Bruno, che porta il nome che lui aveva adottato nella sua vita partigiana, sembra fargli ritrovare una dimensione affettiva che prima gli era stata negata, soprattutto perché non aveva saputo coglierla.
Deciso, in maniera fermamente determinata, a fare del nipote "un vero uomo", il nonno trascorrerà notti intere al capezzale del nipotino, per farlo entrare dentro la logica della sua cultura antica e del suo passato fatto anche di ricordi di guerra.
Nella vita milanese di Salvatore, ricca ormai di eccitanti novità (sarà partecipe persino di un seminario di etnologia all'università, inerente gli usi e le tradizioni della sua Calabria), entra anche il conforto femminile di una figura dolce e saggia come quella di Ortensia. Questo amore senile, anche se descritto con diversa penna e in differente contesto, ci riporta alla memoria il sentimento descritto in Ultima luna di Luce D'Eramo. Gli ultimi giorni del contadino calabrese saranno allietati da una tenera passione, un diverso modo d'amare, in una pienezza di sentimenti che un tempo non aveva saputo conoscere.
Naturalmente non riveliamo la fine del romanzo e lasciamo nell'ombra, volutamente anche il mistero del titolo: questo "sorriso etrusco" che aleggia nell'incipit e nell'epilogo.

Grazia Giordani

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