Recensioni e servizi culturali
In Sicilia di Matteo Collura,
Longanesi
L’ INDAGINE CONTROCORRENTE DI COLLURA
FRA GLI «INQUILINI DELLA STORIA» SICILIANA
È una geniale matrioska il nuovo saggio di Matteo Collura –
In Sicilia – uscito per i tipi della Longanesi che già ha pubblicato
opere di successo dell’autore, giornalista culturale del Corriere della
Sera, fra cui spiccano per valenza letteraria, Associazione indigenti e Alfabeto
eretico.
Una matrioska – dicevamo – perché In Sicilia si presenta
agli occhi del lettore come un libro nei libri, di cui è possibile gustare
il viaggio geografico in luoghi inediti; quello intriso di paradosso, pirandellianamente
parlando; quello letterario condotto con stuzzicante acume, senza lasciarsi
sfuggire la nota accorata, autobiografica, sapientemente diffusa nella pagina,
senza calcare troppo la mano e mai dimenticando che il paesaggio è il
réfrain costante della narrazione.
Le incongruenze della sua terra tanto amata, ma di cui non sa tacere i difetti,
nascono già dall’ incipit della narrazione con quella Portella
della Ginestra che «sarebbe soltanto un fascinoso toponimo sperduto nella
dissennata geografia isolana, se una ormai lontana mattina di festa non vi si
fosse consumato uno degli eccidi più infami che la storia di queste rugose
contrade ricordi». Un nome ingannevole, bugiardo, che farebbe pensare
a una mite contrada e che non sa mantenere la sperata promessa, come avviene
per altri toponimi siciliani.
E le contraddizioni di questa terra, orgogliosamente ancorata alla sua inettitudine,
profumata di zagare, sfavillante di limoni, percorsa da estati torride e da
brevi inverni che la flagellano con gelidi venti, un tempo abitata da arroganze
nobiliari, da immobilismo, da sempre ricca di un fascino paesistico di singolare
bellezza, escono fuori una ad una, stanate dalla penna amorevolmente aguzza
dell’autore.
E così veniamo a conoscere le sue perplessità ambientali, riferite
a quel prevalere degli eucalipti (di australiana radice) sulle palme e sulla
vegetazione autoctona locale e la sua meravigliata e ironica scoperta della
“sopraffazione” di Padre Pio sulla Santuzza Rosalia, come se i siciliani
avessero ansia di esotico anche in fatto di culto e iconografia.
La sosta a Cassibile, nel corso del suo viaggio, fa sgorgare dal cuore dello
scrittore interessanti riflessioni sui soprusi storici subiti dalla sua terra
nel corso dei secoli, dal momento che proprio in questi lidi – nel 1943
– avvenne lo sbarco degli Alleati. «La Sicilia – annota Collura
– è terra dove è facile arrivare, specie se si è
conquistatori. È così da tremila anni. Fenici, greci, cartaginesi,
romani, bizantini, arabi, normanni, svevi, angioini, aragonesi…Tutti ad
affondare le loro zampe speronate su questi lidi. Qui dove io ora sto camminando,
nel 734 prima di Cristo una ciurmaglia di audaci greci provenienti da Corinto
prese terra e vi piantò bandiera. Proprio come duemilaseicentosessantasette
anni dopo, avrebbero fatto i soldati del generale Montgomery».
Particolarmente intrigante la brezza esoterica che increspa la pagina con i
suoi stuzzicanti misteri. Ed è l’incontro con la figura del principe
Raniero Alliata di Pietratagliata, “resuscitato” dai racconti dell’amico
Bent Parodi di Belsito (autore del Principe mago) a dare l’innesco al
“paranormale” che si completa man mano, passando attraverso Cagliostro
e i “Gattopardi” dell’epoca, fra cui brilla «il fior
fiore dell’aristocrazia e dell’intelligenza siciliana: c’erano,
per esempio. Oltre al principe Raniero, Giuseppe Tomasi di Lampedusa e i fratelli
Piccolo di Calanovella: Casimiro il pittore, Giovanna la grande esperta di botanica
e Lucio, il poeta dei celebri Canti barocchi». Pagine queste, di cui è
impossibile riassumere il gustoso interesse, come è altrettanto difficile
rendere in sintesi lo spirito di un’opera letteraria così impegnata,
ma sempre volta a sfatare l’immagine oleografica e riduttiva di una Sicilia
predisposta dalla TV ad offrirci le prodezze del commissario Montalbano.
Pirandello, Tomasi di Lampedusa, Sciascia (maestro indimenticato dell’autore),
Brancati ed altri grandi della sua terra, sembrano fare, di pagina in pagina,
affettuoso circolo intorno a lui, per rafforzare l’immagine di un popolo
dalla natura «irredimibile» come il suo paesaggio, vissuto spesso
quale «inquilino della Storia».
Grazia Giordani