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La casa sul canale di Georges Simenon, Adelphi

Simenon, un viaggio nell’anima
Chi ha detto che il premio Nobel venga sempre attribuito allo scrittore più meritevole? La domanda ci sorge spontanea osservando la mole immensa dell’opera omnia di Georges Simenon (1903-1989) che Adelphi va pubblicando con lodevole cura. Perché un autore così poliedrico, tardivamente considerato fra i grandi del Novecento mondiale, non ha mai goduto di questa soddisfazione? Eppure il 15 maggio del 1961 “Paris- Jour” riportava una di quelle bufale in cui persino i quotidiani più autorevoli possono incappare, affermando che allo scrittore di Liegi sarebbe stato assegnato quell’ambito premio che Simenon non ottenne né allora né in seguito. Quindi, alitava nell’aria l’idea di questa meritata possibilità.
Di ingiustizie di questo genere è lastricato il “pavimento” della letteratura e quindi non deve farci meraviglia più di tanto, anche se è umano porsi la domanda, soprattutto leggendo alcuni suoi romanzi di rara finezza psicologica quali: La camera azzurra, L’orologiaio di Everton e Colpo di luna, senza nulla togliere al piacevolissimo ciclo del commissario Maigret, tanto amato dagli affezionati lettori di tutto il mondo. Di grande qualità per l’innegabile maestria nel disegnare atmosfere e paesaggi dell’anima, riteniamo anche il romanzo appena riproposto “La casa sul canale”, nell’ottima traduzione di Laura Frausin Guarino (titolo originale: La maison du canal, Adelphi, pp.161, euro 7,5).
Protagonista è la sedicenne Edmeé, fragile e gentile nell’aspetto, quanto determinata e disposta al comando nel carattere. Orfana di entrambi i genitori, sarà costretta a lasciare Bruxelles per trasferirsi nella provincia belga del Limburgo, alle Irrigations, nell’immensa proprietà dello zio materno (“terre basse, con filari simmetrici di pioppi interrotti qua e là dalla macchia nera di un bosco di abeti”). L’atmosfera è tenebrosa, le tinte sono acide – come spesso avviene nella pittura fiamminga - l’occhio si perde dentro quegli orizzonti intersecati da canali su cui scivolano silenziose chiatte. La vita è ferma, monotona, scandita da abitudini agresti molto lontane dalla precedente esistenza cittadina della delicata adolescente che si sente diversa da quei rozzi parenti per aspetto e consuetudini. Delicata – dicevamo – per estrazione ed eleganza, ma non certo facile nel temperamento e fin dall’inizio della narrazione piuttosto sussiegosa e ironica. Tanto per rendere più cupa ancora l’atmosfera, appena Edmeé arriva, muore lo zio. E si sa che i funerali non aggiungono allegria. La giovane intratterrà rapporti solo con Mia, la cugina provincialotta e con i due cugini maggiori: Fred che si atteggia a viveur di campagna e Josef che porta sulle spalle il peso delle fatiche più gravose. Con le cuginette minori e la zia non le sarà dato di poter comunicare perché parlano solo il fiammingo, non conoscendo il francese. L’ambigua ragazza non tarderà a provare un altalenante sentimento di repulsione e attrazione, divenuta consapevole dello charme della sua femminiltà sottilmente allusiva.
La personalità di Edmeé è contraddittoria e contorta, incline a pretendere prove improponibili dai cugini (vedasi il furto in chiesa da parte dell’ingenuo e innamoratissimo Jef che, addirittura fondendo il puntale in platino del parafulmine, ornerà con l’iniziale della pretenziosa ragazza un cofanetto portagioie costruito per lei). La sconcertante adolescente si macchierà di calunniose accuse anche nei confronti dello zio Louis, che pure le appariva il più civile e rispettabile fra i parenti.
La sensualità di Edmeé sempre più provocatoria, fatta di offrirsi sottraendosi, è descritta con rara finezza dalla penna di Simenon, grande intenditore di cuore e corpo femminile. Forse è anche l’infelicità di questa strana ragazza e una sua naturale perversa curiosità ad enfatizzare gli istinti rabbiosi, ormai turbati, dei suoi sensi. Indirettamente, per sua colpa, vi sarà l’omicidio preterintenzionale da parte di Fred che farà morire un contadinello che l’ha sorpreso mentre tentava di abusare della cugina.
Tutti e due i fratelli la desiderano e spasimano per lei. Il climax della narrazione si fa sempre più intenso. Amore e morte intonano un canto forte, originato dal potere femminile di Edmeé che pur fragile, malata di tisi, non certo una bellezza procace, dotata della superiorità che scaturisce dalla cultura e dall’eleganza naturale, crea un’infuocata tensione attorno a sé, un insostenibile stato di cose che sfocerà irreparabilmente nella tragedia. Una piccola donna ha dunque il potere di destabilizzare la società agreste che l’aveva accolta. E Simenon sa dimostrarcelo con persuasivo chic letterario.

Grazia Giordani

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