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La morte di Carlos Gardel di António Lobo Antunes, Feltrinelli

MORIRE A LISBONA SULLE NOTE DELLO STRAZIANTE TANGO DELL'ANGOSCIA DI VIVERE
Se non fossero così scontati da apparire banali i binomi degli psichiatri poco equilibrati a forza di stare con i matti e della follia che spesso confina con il genio, saremmo tentati di sciorinarli a nostra volta, leggendo "La morte di Carlos Gardel", ultimo romanzo di António Lobo Antunes, che la Feltrinelli ci propone, ben tradotto da Vittoria Martinetto.
L'autore, nato a Lisbona nel 1942, è appunto uno psichiatra che ha esercitato la professione nell'Ospedale Miguel Bombarda di Lisbona, sua città natale e il suo romanzo è geniale, in linea con quanto affermavamo più sopra. La sua è una scrittura che sarebbe piaciuta a James Joyce, per il "fluire della coscienza" dei personaggi che si confessano in un intreccio e sovrapposizione continua di pensiero, creando - agli occhi della stretta logica - un clima surreale e profondamente inquietante.
I membri di una famiglia in sfacelo sembrano vivere nella Lisbona dei nostri giorni un'esistenza ritmata dalla musica di Carlos Gardel, l'idolo del tango, simbolo della morte di una generazione e dei suoi sentimenti.
Álvaro - il padre - è un ammiratore ossessivo della musica di Gardel e vive in un suo solipsistico mondo di voci e suoni che gli altri non sentono. Pessimo marito, padre distratto e insofferente di un figlio - Nuno - da lui rifiutato prima ancora di nascere ("…capii che non era il freddo a invadermi, era il volto informe che emergeva dallo specchio, finché capii di avere fatto un figlio con un'estranea"). Sua moglie - Claudia - lo ha da tempo abbandonato (ferita dalla glaciale rivelazione del marito: "non ti amo più, mi dispiace, credo che non ci siamo mai amati, credo di non averti mai amata") e Nuno va a pernottare di tanto in tanto da lui quando la madre cerca un po' di intimità con uno dei suoi occasionali amanti.
Il ragazzo, divorato dalla gelosia nei confronti della madre, non prova sentimenti profondi per il padre da cui non riceve testimonianze di tenerezza, un padre che non sopportava quello che nel figlio ritrovava della madre ("nei gesti, nei movimenti, nelle espressioni, nelle vocali allungate della parlata"), un padre che si addormentava al cinema col figlio, si annoiava con lui allo zoo e pareva sopportarlo a mala pena.
Lo stato di abbandono affettivo e il male di vivere conducono Nuno all'eroina, ed è appunto attorno al suo letto in ospedale, che si riunisce la famiglia ad assistere impotente alla morte del ragazzo, stroncato da una overdose.
Al capezzale di questo figlio della distanza e dell'incomprensione vediamo succedersi i suoi familiari che in realtà dialogano soprattutto con se stessi, con il loro passato, con le loro frustrazioni, con i loro ricordi, con il loro doloroso non sapersi amare, con i loro rimpianti di occasioni perdute.
Álvaro scopre di volere la vita di quel figlio non desiderato e così trascurato, solo quando la sua esistenza di ragazzo solo si sta spegnendo e la morte sta inesorabilmente chiudendogli gli occhi, e si rifugia quindi nell'ascolto sempre più ossessivo della musica di Carlos Gardel, il musicista che nelle sue fantasie non è mai morto, sull'onda del pensiero di molti argentini che ancora oggi credono che questo idolo sia immortale. Questo padre stralunato avrà addirittura delle allucinazioni in cui crede di dialogare con Gardel: "…guardi che il mio primo matrimonio è finito per colpa sua signor Gardel, mettevo la sua voce sul giradischi e mia moglie, si figuri che stupida, non sopportava i tanghi (…) Mi sono separato subito, me ne sono immediatamente andato di casa e prima di sposarmi con quella attuale, l'ho avvertita all'ingresso del municipio. Se non ti piacciono i tanghi non se ne fa niente…"
Al capezzale del moribondo si alternano anche altre figure, fra cui Graça, la zia, innamorata di Álvaro che - per un malsano sentimento di fedeltà - ha avuto solo infelici esperienze lesbiche nella sua addolorata esistenza.
Lobo Antunes - una delle voci più originali della letteratura mondiale -, nella musica straziante del suo romanzo, musica che compare persino nella grafia sincopata, densa di volute ripetizioni a carattere di réfrain e di cesure che imitano le cadenze del tango, ci ripropone i temi forti del dolore esistenziale, della banalità dei giorni, dello strazio dell'invecchiamento, dell'incomunicabilità di mente e cuore di una generazione tutta, dove solo morte e follia sembrano diventare l'unica vera realtà.

Grazia Giordani

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