Recensioni e servizi culturali
La nipote di Flaubert di Willa Cather, Adelphi
Willa Cather, conversazioni su arte e letteratura
Un libro piccolo per una delizia grande. Sì, delizierà veramente
il lettore raffinato, quello che ama centellinare con gusto le prelibatezze
letterarie, il romanzo quasi saggio di Willa Cather (1873-1947) - La nipote
di Flaubert - (pp.136, euro 9,50) che Adelphi ci propone, ben tradotto da Monica
Pareschi. Forse avremmo preferito che il titolo Not Under Forty avesse mantenuto,
nella traduzione, il suo significato allusivamente malizioso di Non sotto ai
quarant’anni, alla luce anche della premessa provocatoria dell’autrice
che si diverte a sottolineare come “il titolo di questo libro dovrebbe
equivalere a uno STOP per il lettore, esattamente come un cartello stradale
che segnali ad un automobilista LAVORI IN CORSO…”
E l’ironia è uno dei precipui ingredienti di queste pagine, pubblicate
per la prima volta nel 1936, e non potrebbe essere altrimenti, vista la vita
trasgressiva della scrittrice che non temeva lo scandalo, forse anzi lo cercava,
convivendo in abiti virili con Edith Lewis, negli anni in cui si firmava “William
jr”. ma questi sono in fondo solo fatti suoi e da parte nostra un abbandono
al gossip letterario, anche per meglio far comprendere l’opera e lo spirito
di chi l’ha scritta.
Subito, nell’incipit, ci vien fatto di pensare a come è stata fortunata
l’autrice incontrando al Grand Hôtel di Aix-les-Bains, la nipote
di Flaubert. Fortunata, sottolineiamo, perché ai giorni nostri sarebbe
non solo impossibile, ma anche impensabile l’incontro con un’epigona
di letterato da cui scaturisse la possibilità di compiere una così
provocante carrellata dentro il mondo dell’arte e della letteratura.
Quindi, Willa e Caroline (adoratrice dello zio, al limite di platonico incesto),
sembrano camminare tra le pagine flaubertiane, esplorandone le pieghe meno conosciute,
soffermandosi su non solo Madame Bovary e L’educazione sentimentale, ma
anche sui testi che i critici snob si vantano di aver letto, pur conoscendone
solo i titoli, vedasi Salambô, in cui brillano quelle “grandi ricostruzioni
di un passato crudele e remoto”. Certo, se le due anziane signore si limitassero
a trinciare giudizi letterari, tra un concerto, un’escursione e una tazza
di tè, il saggio-quasi romanzo sarebbe di una noia mortale, invece è
così vivo per la cornice che sa creare la Cather, gli aneddoti apparentemente
secondari, i flash sugli interni, la natura, il paesaggio dell’anima delle
interlocutrici. Ci pare di essere con loro mentre affermano che “ i limiti
di un artista sono altrettanto importanti delle sue doti” e comprendiamo
come trovino troppo “ammobiliata”, sovraccarica la letteratura di
Balzac, contrapposta alla scrittura d Tostoj, di Flaubert, che insieme a Turgheniev,
James e agli altri prediletti dalla Cather, hanno il pregio di far sì
che le figure descritte “sembrino esistere non tanto nella mente dell’autore,
quanto nella penombra emotiva dei personaggi stessi”. Per attrarre lettori
smaliziati, ultraquarantenni – nell’ottica della nostra acuta scrittrice,
il romanzo, quello veramente degno di questo nome -, non deve essere unicamente
un’opera di intrattenimento, né una forma superiore di giornalismo,
né una pesante predica, ma la conquista di un assoluto letterario che
solo i veri artisti sanno raggiungere. Particolarmente toccanti le pagine dedicate
a Katherine Mansfield, venate di accorata tenerezza. Il valore letterario della
Cather, per cui le sue pagine non avvertono il passare dei decenni – ribadiamo
- non consiste solo negli acuti giudizi che esprime con sicurezza, mettendoli
anche in bocca alla nipote di Flaubert o agli altri suoi intellettuali interlocutori,
incontrati in Francia, in America o durante una traversata per mare (particolarmente
originale il dialogo, a proposito della Mansfield, con un bizzarro passeggero,
sulla nave che la riportava da Napoli), ma anche e soprattutto nei lampi di
garbata ironia, quasi nei “silenzi”, nella capacità di dire
per sottintesi, proprio perché consapevole di parlare a un pubblico adulto
e avvezzo alle malizie culturali.
Anche per lei dunque vale e gradevolmente le si ritorce contro la verità
per cui “si possono elencare tutte le qualità che uno scrittore
condivide con gli altri, ma ciò che è solo suo, il suo timbro,
questo non può essere definito o spiegato più di quanto si possa
definire o spiegare la qualità di una bellissima voce.”
Della stessa scrittrice Adelphi ha pubblicato nel 1990 Una signora perduta.
Grazia Giordani