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Le confessioni di Max Tivoli di Andrew Sean Greer, Adelphi

MAX TIVOLI, L’UOMO NATO «DALLA FINE DELLA VITA»
Non fa certo meraviglia leggere che Updike – recensendolo sul New Yorker – abbia definito «incantevole» il nuovo romanzo di Andrew Sean Greer, Le confessioni di Max Tivoli, che Adelphi porta in Italia per noi nella splendida traduzione di Elena Dal Pra. Non restiamo meravigliati – dicevamo – perché questo libro a noi sembra addirittura un capolavoro, rara avis nel mondo delle lettere, dove ci siamo imbattuti piuttosto spesso in libri buoni, ma raramente in eccellenti.
Quella che ci propone l’autore americano trentatreenne è una vicenda più che strana, inverosimile a rigor di logica, ma resa normale dalla verità struggente di sentimenti forti ed universali, come quello dell’amore che riscalda la pagina in maniera ossessiva e disperata. Perché questa è soprattutto la storia di un’ossessione amorosa.
Protagonista è Max, l’io narrante, nato settantenne nel 1871, consapevole quindi di dover chiudere i propri giorni nel 1941, vissuto con la sua data di morte crudelmente incisa sopra una catenella d’oro, come un’inesorabile sentenza.
«C’è da spiegare un cadavere. – leggiamo nell’incipit delle Confessioni – Una donna amata tre volte. Un amico tradito. E un bambino cercato a lungo. Così comincerò dalla fine, dicendovi che siamo tutti il grande amore di qualcuno.»
Abbandonato da un padre danese, arricchitosi a San Francisco (da cui riceverà poi, in età matura, un’insperata eredità), allevato da una nonna stravagante e da una madre raffinata – che gli imporrà la Regola: «Sii quello che gli altri credono che tu sia - questo bambino-mostro («è un Nisse!» esclamerà il padre, vedendolo alla nascita così vecchio e rugoso e pensando quindi alle creature mitiche, boschive della sua terra danese), vive all’indietro, con scarse gioie, venuto al mondo «dalla fine della vita.» Si ha l’impressione che una delle poche persone che lo abbia amato veramente sia stato Hughie, l’amico sempre pronto a confortarlo ed assecondarlo, in fine da lui tradito, perché Max, pur nella sua anormalità fisica, di invecchiare ringiovanendo, è il concentrato di pregi e difetti di tutta l’umanità, è «il mostro segreto» che vive in noi.
L’amore per Alice Levy sarà la vera grande disgrazia del protagonista. Incontrata quattordicenne, graziosa adolescente, figlia di una vedova che non ha rinunciato alle gioie del sesso, lo farà invaghire senza scampo, alla maniera ineluttabile delle tragedie greche, dove non si poteva contrastare il fato più forte dell’uomo. Sono piene di estasiata grazia le righe dedicate alla descrizione di questa piccola lolita: «Vedevo la luna nella sua tazza di caffè, che si dibatteva come una falena. Poi la vidi chinarsi, la bocca raccolta in un bacio muto, e quando soffiò sulla superficie increspata per raffreddarla, vidi la luna esplodere.» La focosa Mrs. Levy sedurrà il ragazzo con l’aspetto di un cinquantenne e questa sarà la grande iattura di tutta la sua esistenza: le età invertite, apparire vecchio quando è un bebè e ragazzino quando, sessantenne, è costretto a trastulli da bambino, in un parco giochi della città.
Accortasi del tradimento, la madre di Alice gli sottrarrà l’oggetto della sua passione. Il secondo incontro avverrà, dopo aver assistito ad un incidente mortale, in un caffè con un’Alice trentenne, vedova, estrosa, ai suoi occhi sempre affascinante in maniera estrema. («Fissammo entrambi dentro le nostre tazze, bacini in cui le maree agitavano polvere e foglie.») Alice non lo riconosce mai. Dopo questo secondo incontro, addirittura lo sposa. Idolatrata da lui, ormai sempre più ringiovanito nell’aspetto, che la ricopre di innamorate tenerezze, lo sfrutta e tradisce con un vecchio. Ironia della sorte! Ancora una volta abbandonato, Max vive nell’ ostinata ricerca di lei, di una donna che per tre volte non ha saputo amarlo. Nulla possiamo anticiparvi del terzo incontro, perché sarebbe come violare il fascino di un romanzo che non può essere riassunto, ma deve assolutamente essere letto, anche per assaporarne la magia del linguaggio, una cifra stilistica di raro valore letterario.
In sintesi: il vecchio-bambino, anche se ha vissuto la sua magia come una maledizione, non nega – nelle sue confessioni – di averla amata la vita, seppur breve e costellata di dolori. E questa ci sembra essere la centralità del romanzo.

Grazia Giordani

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