Recensioni e servizi culturali
Lezioni di felicità di
Angela Vallvey, Guanda
UN IRONICO VIAGGIO TRA FRUSTRAZIONI E DESIDERI
ALLA RICERCA DELLA FELICITÀ
«…sebbene questo libro, in realtà - come tutti del
resto -, sia per te, lettore o lettrice. Per te che qualche volta ti sei chiesto:
«Cos’è la felicità?», che forse cerchi la felicità
o pensi di non essere felice. Prendi coscienza della tua buona sorte, perché
sicuramente hai fortuna, anche se non lo sai. Guardati attorno per rendertene
conto, c’è molto da scoprire. Non pensare che sia poi così
difficile essere felici di questi tempi, perché quelli che stiamo vivendo
non sono peggiori degli altri, passati o futuri.»
Questa è l’esortazione che Angela Vallvey ci rivolge nella pagina
in prefazione al suo nuovo romanzo – Lezioni di felicità (titolo
originale: « Los estados carenciales») – che Guanda porta
per noi in Italia, nella molto curata traduzione di Roberta Bovaia; in definitiva
un appello all’ottimismo, visto che per sua stessa ammissione, questa
sua opera è un inno alla vita, con intenzioni terapeutiche.
Nata a San Lorenzo, Ciudar Real, l’autrice – quarantenne –
vive attualmente a Ginevra e per questo brioso romanzo ha già vinto il
Premio Nadal 2002. Oltre a numerosi libri per ragazzi e tre raccolte di poesie
ha pubblicato i romanzi A caccia dell’ultimo uomo selvaggio e Vias de
extinción con vivo successo.
L’ottimismo di chi guarda alla vita deve avere la funzione di un continuo
apprendistato che la penna vaporosa della scrittrice sa inquadrare in chiave
contemporanea nella cultura classica, mare – questo – in cui nuota
con estrema disinvoltura, proprio grazie ai suoi studi e alle sue colte letture,
tutto un back ground che le permette di creare uno schema omerico rovesciato.
Al centro della narrazione avremo una famiglia madrilena, formata da Ulises,
Penelope e Telemaco. Ma qui la protagonista femminile è ben lontana dal
tessere l’eterna tela, in attesa dello sposo giramondo, qui sarà
lei, donna carrierista, piena di ambizioni a lasciare a casa il marito a occuparsi
della vita domestica e del bambino.
Proseguendo nella lettura, ci accorgeremo che lo schema è però
rovesciato per forza di cose, visto che Ulises è un irrefrenabile buongustaio
dello charme femminile, e che quindi Penelope non è del tutto quella
fatua donna, divorata soltanto dal desiderio di raggiungere prestigiose mete
di successo, che ci era apparsa in origine.
Ulises, uomo-padre pressato dagli obblighi del crescere il figlio, trova consolazione
non solo nelle sue performance amorose, ma anche e soprattutto nella filosofia,
ovvero nell’ Accademia della felicità fondata dal suocero Vili.
In questo modo, anche noi possiamo assistere agli esilaranti mercoledì
filosofici madrileni, a cui prende parte uno strano gruppo di svitati, persone
assillate da problemi esistenziali, eternamente alla ricerca dell’agognata
felicità.
Vili è una specie di Socrate, formato spagnolo, oppresso da Valentina
(una “santippe” che gli avvelena i giorni e le ore), incapace di
porre in atto gli insegnamenti che va sbandierando ai suoi bizzarri allievi.
In realtà, quello che avrebbe bisogno più di tutti di attuare
le sue stesse perle di saggezza ci appare essere proprio lui, il “caposcuola”,
sopraffatto dalle nevrosi della sua compagna: «non rimaneva più
niente della donna che aveva conosciuto trent’anni prima, una dolce ragazza
madre che assomigliava alla Connie Selleca dei bei tempi di Hotel, con gli occhi
scintillanti di gioia di vivere e le labbra umide, socchiuse, carezzevoli. All’epoca
avrebbero potuto fotografarla per la pubblicità della Coca-Cola. Era
così bella! Conservava ancora le tracce dell’antica bellezza, ma
non riusciva rendersene conto e a goderne.»
Proprio in questa incapacità di rendersi conto del buono che si è
avuto dalla vita, sta il nocciolo dell’insegnamento della scrittrice,
perché, in definitiva, i conflitti esistenziali di tutti i personaggi
del romanzo – anche di quelli descritti con sulfurea ironia, che fanno
da cornice all’azione principale – hanno una radice di scontento
simile, ed è proprio analizzandosi nella già citata Accademia
che si aiutano, incoraggiano, affannati inseguitori di amori impossibili e ambizioni
spesso ipertrofiche, fotocopia di molte delle nostre attese di vita e dei nostri
malesseri, inducendoci – mentre ridiamo di loro - a sorridere di noi stessi.
Grazia Giordani