Recensioni e servizi culturali
Madre nostra che sarai nei cieli di Piersandro Pallavicini, Feltrinelli
UNA SPIETATA CRITICA ALLA FAMIGLIA BORGHESE
Qualora Piersandro Pallavicini avesse avuto in animo il proposito di procurarci
uno choc - operando nel senso in cui un tempo si diceva di "épater
le bourgeois", ovvero sbalordire il borghese - con il suo ultimo romanzo
"Madre nostra che sarai nei cieli" (Feltrinelli), dovremmo proprio
rispondergli: "Operazione riuscita!", perché la crudezza del
tema trattato, espresso in un non meno crudo linguaggio, ha veramente l'effetto
di un pugno nello stomaco.
Ciò non toglie che Pallavicini sia un autore che sa scrivere, originale,
pieno di idee e quindi, anche senza la bestemmia e il lessico da trivio, il
suo libro si farebbe notare per il ritratto psicologico dei personaggi e per
il coraggio degli argomenti trattati, alieni da retorica.
Quarantenne, nato a Vigevano, l'autore lavora come ricercatore nel campo della
chimica supermolecolare all'Università di Pavia. Dopo una lunga militanza
nel campo delle riviste underground e fumetto, intorno alla metà degli
anni Novanta ha cominciato a pubblicare narrativa nell'area delle nuove riviste
letterarie. Dal 1998 ad oggi ha pubblicato saggi e romanzi fra cui ricordiamo
"Il mostro di Vigevano" (1999) e una raccolta di racconti "Anime
al Neon" (2002).
Mario Provera, protagonista di questo suo ultimo romanzo, è un architetto
di successo, scapolo, titolare di uno studio milanese molto ben avviato, nutre
un forte interesse, una vera attrazione per quelle manifestazioni d'arte perversa
ed ultramoderna che si occupano di mutazioni e post-umano (cose da far accapponare
la pelle!).
Galeotta - riguardo l'incontro con Relata Rèfero, stravagante figura
femminile - sarà la rivista "Mutamag", per la quale l'incuriosito
architetto dovrà intervistare la singolare parvénu. Incuriosito
- dicevamo - a causa delle leggenda che alitava intorno a questa giovane "sui
generis" e a quanto gli amici gli andavano riferendo, ovvero che l'appetitosa
e volgarotta trentacinquenne, dipinta di blu in ogni dove, anche nei punti più
riposti del suo bel corpo: "
stava lasciando certa body art troppo
legata al passato (innesti di polimeri plastici sottocutanei, con effetti di
colore in trasparenza, sulla pelle), dirigendosi verso "nuove frontiere
di esperienza performativa"".
Inevitabile una relazione con una donna così apertamente offerta e senza
inibizioni, "una pazza di un blu perfetto, che le arrivava fin nelle pieghe
delle palpebre, che le tingeva il cuoio capelluto e la lunga capigliatura a
onde. Che faceva contrasto con le unghie - laccate di porpora e ben curate -
e con il rosa della lingua
".
In contemporanea con la relazione di Mario e Relata Rèfero (riassunta
anche in un più sintetico RR), si snoda la vicenda della malattia improvvisa
della madre, affetta da leucemia ed è proprio l'appuntamento quotidiano
con il dolore autentico, quello reale - toccato con mano, assistendo al calvario
materno - che fa perdere interesse da parte del figlio nei confronti delle raffigurazioni
artistiche ed artificiose della sofferenza e della morte soltanto rappresentate
e non realmente provate.
Mario mette a nudo se stesso; il dialogo con la madre che gli rivela l'indicibile
dal suo letto d'ospedale è il pretesto perché un giovane che aveva
vissuto un'esistenza fatua, attorniato da amici senza preoccupazioni di danaro,
attratti dalle apparenze gratificanti della vita e alla ricerca dell'ipermoderno
e dell'estremo nell'arte, prenda consapevolezza di se stesso, di quella parte
del suo animo che non aveva mai scandagliato.
La madre gli spalanca finestre sul passato della sua famiglia che diventano
spaventosi baratri, destabilizzando le sue certezze, distruggendogli i confortanti
orizzonti verso cui aveva preso a guardare.
Dostoevskijani sensi di colpa, con risvolti anche sovrannaturali, assalgono
il protagonista che rivede come in un film tutta la sua vita a partire dai primi
anni d'infanzia. I personaggi gli girano vorticosamente intorno in un'allucinante
spirale: la madre dolente e sottomessa al marito; il fratello e la cognata avidi
e disaffettivi; il padre ambiguo (con una sorpresina finale, al riguardo, che
non vogliamo anticipare del tutto al lettore).Illuminazioni, da parte di Mario,
sulla sua stessa vera natura di zio, riguardo l'attrazione che prova per il
bellissimo nipote dodicenne, non sono certo da passare sotto silenzio.
L'immagine della buona famiglia borghese agiata, settentrionale - attraverso
la scrittura di Pallavicini - riceve una dura mazzata. Eppure e forse anche
per questo, il romanzo suscita una forte curiosità, lo si legge quasi
furiosamente, anche se, a lettura finita, non si sa resistere all'impulso di
aprire la finestra per respirare un refolo d'aria pulita.
Grazia Giordani