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Mo Mo di Alain Elkann, Bompiani

DUE VITE PARALLELE: ALBERTO E INDRO
A chi gli chiedeva, seduto al suo fianco, nel corso di una cena organizzata in suo onore - dopo la presentazione del suo romanzo: Il padre francese – se avesse mai trovato qualche difficoltà nell’intervistare i personaggi più importanti, dal mondo letterario, a quello dello spettacolo, senza trascurare capi di stato e religiosi, Alain Elkann ha risposto, senza scomporsi: «Ho un dono naturale della “maieutica”, so tirar fuori le risposte dalla bocca della gente, senza impormi, con discrezione…»
Ecco, questa dote deve proprio possederla in sommo grado, visto che è riuscito ad entrare nelle buone grazie anche di personaggi, tanto eccezionali quanto scomodi, come Alberto Moravia e Indro Montanelli, che «per me sono stati come dei padri» - scrive nel libro mignon a loro dedicato, messo nero su bianco con quella penna “sussurrata”, mai invadente, in piena sintonia con la sua vera voce.
Mo Mo s’intitola questo piccolo libro che assimila la prima parte dei due cognomi di Alberto e Indro, per sottolineare ancor più il procedere in parallelo delle loro vite, pur costellate da tante divergenze.
Elkann – nella narrazione semplicemente “A.” - mette vicini in pagina i due amici: Moravia, un ex bambino prodigio che ha saputo dare la svolta più forte alla letteratura italiana del Novecento, per molti versi discepolo di Sartre, e Montanelli, il principe del giornalismo nazionale.
A. e Moravia hanno scritto un romanzo a quattromani in cui l’autore interroga Alberto sulla sua vita. «A incoraggiarli in quell’impresa furono sempre Enzo e Flaminia Siciliano e Furio Colombo. Enzo, a volte, con delicatezza, dava qualche suggerimento. (…) Intanto diventava più intenso il rapporto tra A. e Alberto. Parlavano molto, viaggiavano, vedevano altre persone. Alberto era sempre angosciato perché aveva una vita amorosa turbolenta, travolta da continue gelosie e tradimenti; inoltre era preoccupato per il pericolo atomico che minacciava il mondo. Raccontando la sua vita a A. emergevano episodi e persone affascinanti: l’infanzia e la prima giovinezza, i grandi viaggi nelle Americhe, in Asia, in Africa, il primo matrimonio con Elsa Morante, la guerra, il dopoguerra e l’amicizia per Morra di Lariano, per Malaparte, per Guttuso, per Pasolini…»
Dopo la morte di Moravia, vissuta come un tradimento, A. incontra Montanelli che diverrà per lui un saldo punto di riferimento e dal collage delle due vite parallele, nasce uno spicchio di autobiografia, intrecciata con l’incontro e l’amicizia per due figure storiche del mondo delle lettere e del giornalismo, non solo nazionale, quasi un’intervista-confessione, un cammino a tre, un imprimere sulla carta la gratitudine dell’autore verso i suoi Maestri, sia sotto il profilo psicologico e sentimentale che sotto quello professionale.
«Alberto e Indro erano ingenui per molti versi e tremendamente egoisti. Indro si definiva un “cottarolo”, nel senso che perdeva ogni tanto la testa per una donna. Alberto intellettualizzava l’amore, perché cercava di domare la bestia che era dentro di lui. Alberto aveva una terribile rabbia, insofferenza, che, come aveva scritto nel suo primo romanzo, Gli indifferenti, gli faceva sempre affiorare l’idea dell’omicidio. Si comportava in modo passionale con le donne perché aveva avuto un rapporto violento e represso con sua madre. (…) Indro, invece, aveva avuto un rapporto molto tenero e affettuoso con la sua, di cui aveva invidiato la fede assoluta e semplice, perché le dava un coraggio interiore, una forza spirituale che a lui mancavano.»
Nelle pagine di Elkann troviamo i tic, le debolezze, il coraggio e le paure dei suoi due grandi amici, in un rimando rapido fatto della “presenza” intensa di Alberto, che non muore nel ricordo, e di Indro che, fino all’ultimo fiato della sua avventurosa esistenza, non smette mai di essere giornalista anche scomodo e contro il potere, sempre dalla parte dei suoi lettori.
È colmato, quindi, solo dalla grande lezione di vita, il vuoto rimasto nel cuore di Elkann, a nostro avviso, in perpetuo rimpianto di quel suo perduto “padre francese”.

Grazia Giordani

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