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Neronapoletano di Antonella Cilento, Guanda

IL NUOVO VOLTO DI UNA NAPOLI ESOTERICA
Certo è che – partendo da Marotta, passando attraverso la Ortese, e finendo con La Capria, solo per citare alcuni dei suoi cantori, ne abbiamo viste di facce di Napoli, una città poliedrica, versatile, aperta a mille letture del suo carattere, della sua gente, delle sue miserie e splendori. Eppure, non è mai detta l’ultima parola, perché la penna ammiccante di Antonella Cilento sa regalarci ancora un volto nuovo – e questa volta esoterico – di questa imprevedibile città. E ce lo porge in Neronapoletano, per i tipi di Guanda, già pervaso di mistero fin dalla copertina, dove in campo scuro brillano due occhi dallo sguardo inquietante, tratti da un ex voto del XIX secolo.
Nonostante la giovane età – è nata nel 1970 – la Cilento (fondatrice, fra l’altro della scuola di scrittura Lalineascritta www.lalineascritta.it) ha già vinto importanti premi letterari e si fa notare per la prosa molto personale, moderna, quasi parlata, con abbandoni colloquiali, spesso arricchiti da note di vernacolo, atto a dare disinvoltura ed immediatezza ai suoi dialoghi.
Dopo il successo de Il cielo capovolto (Avagliano, 2000); di Una lunga notte (Guanda, 2002) e di Non è il paradiso (Sironi, 2003), l’autrice, in questo suo nuovo romanzo, subito ci fa incontrare Elide Sorano, giovane impiegata ai beni culturali di Napoli. Nonostante le apparenze di un‘esistenza da travet, la nostra eroina è uno strano soggetto. Soffre di nevrosi e di allucinazioni: sin dall’infanzia vede personaggi di quadri passeggiare per le strade della sua città. E vede strane somiglianze, nei musei, con figure reali. E qui verrebbe voglia di ricordare quel personaggio di Poe che vedeva un cavallo uscire dalla tela del quadro in cui era dipinto: una nota esoterica e surreale rende sempre accattivante la narrazione, perché spesso il lettore ha bisogno di uscire dalla “normalità”. E, con Elide, tra attacchi di panico e visioni, la normalità non è certo qui di casa, anche se tenta di dare una spiegazione razionale a questo suo visionario vezzo: «A passeggio per Napoli si ha spesso l’impressione di veder camminare dei quadri. Non è solo che certi cambi di luce, o taluni squarci, rimandino a illustratori e vedutisti che hanno reso famosa la città. È che proprio la gente, le donne, i bambini, i vecchi conservano precisi l’aspetto dei loro avi ritratti dal Sammartino o da Luca Giordano.»
Le sue fissazioni e fobie non godono di sicuro, assumendo l’incarico di indagare su furti d’arte e in particolar modo su alcuni oggetti rubati a una vecchia signora, appartenuti a Giovannattista Vico. Ad aggravare la situazione, è confortata nelle ricerche dall’amica Veneranda, persuasa di essere una discendente diretta di Tommaso Campanella. Ed è qui il caso d’aggiungere che non le manca nulla, nemmeno i nemici, tra cui: attori vecchi e giovani (del giovane s’innamora), uno scultore appassionato di letteratura esoterica, un prete malevolo e minaccioso
Sentendo i nomi dei personaggi storici citati, non è difficile rilevare anche l’afflato filosofico che vive in queste pagine (vichiani cicli e ricicli) e il concetto del Tempo la fa da padrone in una corsa piena di flash back tra Presente e Passato, in un gioco abile di sovrapposizione dei piani, dove Napoli si fa teatro ideale degli intrecci, proprio anche per la sua stessa struttura architettonica, dove il passato ora sussurra, ora urla a gran voce.
Non mancano nemmeno enigmatiche e-mail minacciose ad opera di un nobile del Settecento, vittima di una congiura, descritta nei diari di Giambattista Vico. Insomma, Elide – già un po’ svitata di suo – si trova nel milieu di un’aggrovigliatissima matassa dal doppio bandolo che oscilla tra Storia e favola, inserita nell’oscurità di una Napoli buia, perfetta cornice per un noir.
Insieme all’autrice, sarà il lettore a rimettere i fili spettinati al loro posto e a ricomporre un ordinato gomitolo, non lasciandosi sfuggire anche la voce sociale delle situazioni descritte e le considerazioni sul fatalismo partenopeo, nota da non passare sotto silenzio, nella scrittura della Cilento.

Grazia Giordani

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