Recensioni e servizi culturali
Nessuno muore di Ferruccio Parazzoli, Mondadori
SANGUE CIBO E SESSO INCARNATI IN CUORE E CORPO
DI UN NUOVO ULISSE
Ormai siamo avvezzi alla consuetudine di prolungare romanzi celebri, per mani
diverse dagli autori originali, approfittando anche del loro esser passati a
miglior vita (così che non possano elevare protesta per abuso), e questa
sorte è toccata a "Via col vento" e, proprio in questi giorni,
a Jane Eyre; e siamo abituati anche a vedere un prolungamento di vita di personaggi
celebri, con particolare riguardo per Ulisse che - se in un medievale passato
- ha interessato Dante, nel secolo scorso ha occupato l'attenzione letteraria
di Joyce -, ma di vedere l'eroe omerico trasfigurato, come è avvenuto
ora dalla penna di Ferruccio Parazzoli, nel suo ipercolto ed intertestuale "Nessuno
muore" (Mondatori), non ce lo aspettavamo proprio.
Nell'elemento dissacratore, quello che a prima lettura, ci ha così allibiti,
sta soprattutto la forza del romanzo, la "vis" che ci spinge a non
fermarci allo sbalordimento della trama, per cercarne il valore metaforico,
per cui questo Nessuno (Ulisse) è l'incarnazione straripante delle pulsioni
selvaggiamente primarie dell'uomo: cibo, sesso e sangue.
Il lettore deve dimenticare subito il ritratto del "callido"Odisseo
di omerica matrice, o la visione filosofica dell'Ulisse dantesco, avventuroso
ai fini di "virtute e canoscenza", qui incontra - nella più
sconcertante schizofrenia letteraria -, un eroe dal cranio completamente rasato,
occhiali da sole, cartucciera, casco coloniale, un burbanzoso pistolero, dal
corpaccione adiposo, temuto dai sudditi della sua Itaca, anche per la volubilità
con cui emana e abolisce leggi, a seconda dell'umore del momento.
Lussurioso, piratesco e senza regole, concentra il suo credo di vita (ma crede
veramente in qualcosa o è soltanto istintivo, primordiale?) nel predare
uomini e animali, tagliando gole e massacrando nemici e amici (si fa per dire,
visto in quale conto tiene l'amicizia!), volgare stupratore di donne che sa
solo violare spietatamente, indifferente al loro cuore.
Eppure, questo lardoso satanasso, guardato controluce, se riusciamo a spogliarci
delle consuete categorie morali di giudizio, in un certo senso ci fa quasi pena
- e forse è proprio qui che l'autore vorrebbe condurci - perché
ci appare come un sopravvissuto a una leggenda che lo imprigiona come una casa
senza porte, da cui non riesce a trovare l'uscita.
Siamo ormai in un'Itaca non più ospitale in cui trova dimora la reggia
devastata, in cui è avvenuto il massacro dei Proci; abbandonata dall'imbelle
Telemaco e da una Penelope veramente deludente, l'esatto contrario del ritratto
omerico che ha accompagnato il nostro immaginario di sempre. Ma tutto questo
ha una sua logica conseguenza: avrebbe potuto l'autore deformare il ritratto
di Ulisse, lasciando intatto - in ossequio alla tradizione - il paesaggio umano
che lo circonda?
Ulisse, nello sfacelo che lo attornia e che gli fa da controcanto - "Nessuno"
più che mai -, ha solo il conforto della memoria: ricorda le carni burrose
della figlia del Ciclope e quelle riottose di Nausicaa, l'unica donna che non
è riuscito a possedere e che continua quindi ad avere il fascino inquietante
della gozzaniana "rosa che non colsi"; come in un muliebre caleidoscopio
gli riappaiono dinnanzi agli occhi le grazie di Calipso, Circe e Camilla.
Parazzoli rovescia il mito classico, spogliandolo del suo smalto letterario,
dei suoi velluti e sovrapposte sete, per riportarlo alle irsute tele grezze,
forse più aderenti alla realtà primitiva e tribale, fatta di forza
brutale, quella della sopravvivenza.
Quella del narratore di squisita finezza è quindi anche un'operazione
filologica di recupero, di scavo, in una visione postmoderna di una realtà
che ci era stata offerta abbellita dalla tradizione letteraria; dentro questa
riappropriazione di una mitologia primigenia, possiamo anche leggere il rifiuto
di un pacifico e definitivo approdo, l'affermazione straziata delle inquietudini
laceranti degli umani, accomunati in un "Nessuno" senza Tempo.
Grazia Giordani