Recensioni e servizi culturali
Odore di cipria di Enzo Biagi, Rizzoli
I RICORDI DI UN GRANDE GIORNALISTA "INCIPRIATI"
DI NOSTALGIA
I primi anni Quaranta insanguinati dalla guerra, la testimonianza "della
fine di tre ideologie: fascismo, nazismo e comunismo", una miriade di interviste
eccellenti sono le tessere dello struggente mosaico, cucite con il filo dei
personali ricordi, un vero e proprio affresco di un'epoca, che Enzo Biagi rivive
- attraverso il filtro della nostalgia, per un mondo che è ormai soltanto
memoria -, nel suo ultimo libro Odore di cipria, uscito per i tipi della
Rizzoli.
Nel suo consueto linguaggio sincopato, quasi epigrammatico - spesso venato d'ironia
- l'autore rievoca la femminilità del suo tempo: donne, tante donne,
velate dalla medesima cipria ("Coty o Tokalon") che si posa indifferentemente
sul volto di ragazze facili o virtuose, profumando la pagina di un'essenza perduta,
di un sapore d'antan malinconico come il rimpianto.
"Ho visto mettere all'asta il fez dell'ex Duce; ho ricevuto le confidenze
di Heinz Linge, il cameriere del Führer e Sturmbannführer (maggiore
delle SS)" - leggiamo nella pagina di un autore che, seppure oggi così
sulla cresta dell'onda, non dimentica il suo passato di cronista al Resto
del Carlino di Bologna e sembra sentire ancora oggi "le chiacchiere
di redazione (che) qualche volta assomigliano a quelle di caserma: argomento
soldi. "C'è uno al Gazzettino che guadagna ventimila lire
al mese: è amico di Galeazzo Ciano" dicevano..."".
Si respira - nella pagina il clima felsineo, quella cordialità emiliana
che oggi è da annoverare tra i beni perduti, tanto la città va
mutando fisionomia: "Se ne è andato un mondo. Rimpiango, come Stefan
Zweig, quello d ieri: sono nato in un borgo e cresciuto in un città che
era provincia, ma senza avere nulla di rozzo o di goffo. La vita trascorreva
tra casa, scuola e chiesa con le adunate dei balilla, prima, e la premilitare,
poi. Confesso che, come piccola camicia nera, sono stato all'avanguardia: avevo
una nonna maestra che, anche per obbedire alle superiori disposizioni, mi iscrisse
d'ufficio".
La perduta giovinezza - nel libro di Biagi - riprende corpo nel ricordo di persone
scomparse nella frenetica corrente della vita, fiume tumultuoso tenero e crudele,
sempre affascinante, e le voci ritrovano il loro timbro, la loro cadenza. Non
incontriamo solo personaggi eccellenti, uomini di Stato e di comando, ma anche
gente qualsiasi, compagni di scuola, viandanti della vita senza storia; anche
i vinti, i perdenti, che il giornalista sa guardare con occhio intenerito. Ci
sono gerarchi sicuri che "i camerati non avrebbero indietrato mai"
e patetiche vecchiette - una, in particolare, che da anni si reca alla stazione,
di sera, sempre alla stessa ora, aspettando qualcuno che non arriverà
mai e di cui non ha accettato la realtà della morte - e "donne di
vita" dall'animo delicato e Claretta Petacci "l'amante bella e giovane"
del Duce e la maliosa Clara Calamai e Paola Borboni (che "era stata bella,
appassionata, indipendente"), fra le prime a comparire in scena senza veli.
E Mimì Aylmer che pare fosse "stata amata da Umberto di Savoia e
da Galeazzo Ciano". E Wanda Osiris con il suo "cuore di un bimbo";
e Anna Magnani "altra regina aspra dello spettacolo"; e Maria Callas
che "non amava i giornalisti".
Ci sono incontri al femminile particolarmente intensi come quello a Filadelfia
con Nina Berberova "emigrata e grande figura della letteratura russa. Viveva
in un piccolo appartamento; il solo segno di ricchezza e del passato era un
Matisse che avrebbe avuto bisogno di restauri".
Donne di tutte le nazioni, donne di tutte le estrazioni. Guardate dall'autore
sempre con rispettosa curiosità, con voglia di conoscere, di capire.
Donne che - sedimentate dentro il mondo della memoria - ritrovano la loro carne,
i loro gesti, i loro tic, la loro capacità di amare, di lasciare un segno
nella lavagna della vita.
"Queste pagine - scrive Biagi - nascono anche da un odore, da una immagine,
da una canzone, da uno scroscio di pioggia; mestiere e curiosità mi hanno
portato in tanti luoghi lontani, e sempre tra la gente: così la mia piccola
avventura si è intrecciata con i fatti che hanno cambiato il mondo. Il'ja
Eremburg mi citò un verso di Mandel'tam, l'amico-poeta travolto
dal vento del terrore staliniano: "Ho imparato la scienza degli addii".
Enzo Biagi è nato nel 1920 a Lizzano in Belvedere (Bologna). Giornalista
e scrittore, tra le sue opere ricordiamo Un anno Una vita, La disfatta, "I"
come italiani, L'albero dai fiori bianchi, Il fatto, Lunga è la notte,
Quante donne, La bella vita, Sogni perduti, Scusate, dimenticavo, Ma che tempi,
Cara Italia e Racconto di un secolo.
Grazia Giordani