Recensioni e servizi culturali
Prima della quiete di Elena Gianini Belotti, Rizzoli
LA TRAGICA STORIA DI ITALIA DONATI, SUICIDA
IN NOME DELL’ “ONORE”
Chi parlerebbe ancora di Italia Donati e ne ricorderebbe la tragica fine, se
Elena Gianini Belotti, con penna amorevole e sapiente, non ne avesse ricostruita,
attraverso uno studio scrupoloso e attento, la commovente storia?
Possiamo leggere, dunque, in «Prima della quiete» (Rizzoli) la vita
tribolata e l’ingiusta fine della giovane maestra nel nuovo romanzo dell’autrice
romana, nota al pubblico per i suoi premiati saggi e romanzi, fra cui ricordiamo:
«Dalla parte delle bambine» (1973); «Amore e pregiudizio»
(1988- Premio Donna Città di Roma); «Adagio un poco mosso»
(1993). «Voli» (20001- Premio Rapallo Carige, finalista Premio Elsa
Morante); «Prima le donne e i bambini» (1980 e 1988); «Non
di sola madre» (1983); «Il fiore dell’ibisco» (1985
- Premio Napoli).
Di Italia, dell’infelice maestrina – dicevamo – non sapremmo
nulla e la sua vicenda resterebbe ormai sepolta sotto la polvere degli anni,
anche perché, nata nel 1863 a Cintolese e morta a Porciano nel 1886,
rappresenta valori etici lontani dalla morale d’oggi, specchio di tempi
più permissivi e in cui la donna ha fatto passi da gigante nel guadagnare
nuove e meritate postazioni nel vivere sociale.
Sulla base di dati rigorosamente storici, ricercati col fiuto e il puntiglio
della saggista, la Gianini Belotti, confortata anche dalle cronache del tempo,
uscite sulle pagine del “Corriere della Sera” dalla penna del “redattore
viaggiante” Carlo Paladini, è riuscita abilmente a ricucire gli
avvenimenti realmente accaduti, quale sfondo al ritratto della protagonista,
tratteggiato con rara finezza psicologica.
Tanto che ci sembra di vederla questa figlia diligentissima di un misero “granataio”,
favorito dalla materia prima che può trarre dai luoghi paludosi, densi
di canneti in cui vive con la famiglia, ma che di favori dalla vita non ne ha
ricevuti certo altri, straziato da una miseria angosciante e perseguitato dalla
malattia. Aiutata da un generoso insegnante, Italia riesce, con immenso sacrificio,
a superare gli esami di privatista, conseguendo il diploma di maestra, vessata
sempre da invidia e diffidenza di una comunità malevola che non sa gioire
dei suoi successi. Finalmente le viene assegnato il posto di lavoro a Porciano
e qui inizia la parte più truce del suo calvario. Siamo ancora in epoca
in cui l’assegnazione dei posti per l’insegnamento era affidata
ai sindaci, non sempre onesti nelle loro pretese. E alla sprovveduta esordiente
ne tocca proprio uno dei peggiori, costretta a vivere nella lussuosa casa del
prepotente che tiene sotto il medesimo tetto convivente e amante, con relativi
figli, dando esempio di una singolare famiglia “allargata”. Insidiata,
Italia, riesce a tener testa con mite garbo alle pretese del sindaco, ma le
malelingue si scatenano perverse e una lettera anonima l’accusa pesantemente
di aver abortito per nascondere la sua colpa.
Ormai la giovane è entrata dentro una tagliola senza scampo: prepotenza,
protervia e ignoranza dei suoi persecutori la violenteranno con una crudeltà
da cui conseguiranno la diffamazione e l’isolamento. La bella ragazza
che in un ritratto dell’epoca appare dotata di «gentilezza e ritrosia,
sensibilità e timidezza», ha un destino segnato, chiusa come è
ormai tra la stretta del bisogno di lavorare per la sopravvivenza sua e della
sua famiglia e l’orgoglio dell’onestà. Togliersi la vita,
in maniera così drammatica, è l’unica scappatoia che le
resta, l’estrema strada che pensa di poter ormai percorrere, aperta verso
la riabilitazione e il riscatto.
Scrivendo questo commovente romanzo, Elena Gianini Belotti non ci ha offerto
solo la ricostruzione della vita di Italia Donati, ma ha tracciato un quadro
più ampio della situazione delle maestre nell’Ottocento. A conforto
del suo pensiero, l’autrice riporta anche un articolo di Matilde Serao
in cui «redige un elenco delle vittime nei paesucoli del nord come del
sud: la giovane insegnante che per disperazione si butta dal campanile della
chiesa; quella che si avvelena con i vescicanti; quella che muore di fatica
e di fame per tornarsene a piedi dalla famiglia (…)Giovani donne cadute
sul campo dell’emancipazione. Dietro queste drammatiche storie ci sono
quasi sempre odiose calunnie inventate da un pretendente respinto, spesso un
loro superiore…»
Un romanzo – questo – dalla forte valenza sociale, ricco di riflessioni
psicologiche e splendide descrizioni paesistiche.
Grazia Giordani