Recensioni e servizi culturali
Quando leggere è un piacere di Giorgio Montefoschi, Rizzoli
STORIE DI PASSIONE E SENTIMENTO AMOROSO NEI
GRANDI LIBRI
"Questo è un piccolo libro sui libri - scrive Giorgio Montefoschi,
in apertura del suo saggio: "Quando leggere è un piacere" (Rizzoli)
-. Non ha la pretesa di indicare i trenta libri da salvare dall'incendio; i
quattro da portare sull'isola; i dieci da scegliere nel Novecento. Tolstoj è
presente con la carezza sulla testa di un bambino; Durrell con l'eco di un canto
notturno".
Sì, il libro è "piccolo" - come afferma l'autore - ma
l'esiguità è da riferirsi soltanto alla dimensione dell'opera
e non certo a quella dei contenuti, più che mai accattivanti e inclini
a spingere il lettore a ricercare "passione e sentimento amoroso nei grandi
libri", ovvero in quelli che hanno saputo lasciare indelebile segno nella
lavagna della vita e nel cuore di chi vi si accosta con reale trasporto.
Con mano abile, Montefoschi - non solo critico letterario, ma anche scrittore
raffinato, fra l'altro vincitore dello Strega nel '94 con "La casa del
padre" -, sa portarci dentro intrecci di trame e di stili diversi, comunicandoci
soprattutto atmosfere e stati d'animo, incuriosendoci alla lettura di testi
non ancora affrontati o alla rilettura di pagine note, da riesplorare con occhio
nuovo.
Memorabile il suo mini saggio su Emily Brontë ("
sedicenne -
era nata nel 1818 - guarda , come in ogni ritratto, lontano. I bei capelli castani
sono raccolti alla nuca; il naso è diritto; le labbra, non sottili, sembrano
serrate in una ostinazione prossima al corruccio"), in cui sentiamo il
vento aspro che - sferzando la brughiera di "Cime tempestose" - sembra
increspare, in parallelo, anche la pagina del saggista, efficacemente compenetrato
nell'opera e nella biografia brontiana. Qui respiriamo la solitudine, l'orgoglio
selvaggio, la vis ombrosa e taciturna di una delle più grandi scrittrici
di tutti i tempi, incastonata nella cornice della sua artistica famiglia (anche
Charlotte - autrice di Jane Eyre, fu dotata di una splendida penna; meno incisiva
quella della sorella minore, Anne; per non tacere la vena "maledetta"
del fratello Branwell, pittore alcolista e drogato, che ispirò ad Emily
la figura di Heatchliff nel suo capolavoro-).
Montefoschi non solo ci fa viaggiare dentro miti e leggende di letteratura giudaico
cristiana e di pagano spessore, ma ci fa incontrare i classici - vecchie amicizie,
autori di nostri "livres de chevet" -, colorandoli di note solleticanti;
e così James, Dickens, Gogol, Musil, Flaubert, sembrano ammiccare in
nostra direzione. Le occhiate più languide ed allusive è Emma
Bovary a non risparmiarcele, dardeggiate da quei suoi occhi così mutevoli,
dotati di "una tonalità misteriosa che pare mutarsi in nero dal
blu scuro" e che il critico sa cogliere e trasmetterci, quasi con forza
istrionica
La malinconia alienata di Virginia Woolf è colta con penna non priva
di quella "pietas" - nel senso latino, virgiliano della parola - che
sempre dovremmo provare nei confronti di un genio, condannato dalla malattia.
"Pensava, Virginia Woolf, - precisa l'autore - che lo stile fosse una cosa
molto semplice: soltanto ritmo; e che, una volta scelto, le parole venissero
da sé. Perché "l'essenza del ritmo è arcana e va in
profondità assai più delle parole. Uno spettacolo, un'emozione,
suscitano quest'onda nella mente
"". Virginia ci appare fragile
e penetrante come la lama di un rasoio, descritta, in sapienti flash, dagli
"anni della giovinezza", a quelli in cui la gioventù è
un bene perduto e "inizia l'ardua età matura", quella in cui
la scrittrice diventa più disperatamente introspettiva e consapevole
della sua scissura, della sua "oscurità della mente", ormai
autrice delle "Onde", romanzo che - come acutamente osserva Nadia
Fusini - "ha un'età adulta, che si accompagna all'ombra dell'età
di mezzo"; l'età dolorosamente consapevole in cui Virginia decise
di togliersi la vita.
Vivo e pieno di colore, il ritratto di Elsa Morante che incontriamo - zingaresca
nell'abbigliamento - davanti a un piatto di appetitosi scampi, divorati "senza
l'aiuto delle posate". L'indimenticabile autrice di "Menzogna e sortilegio"
de "L'isola di Arturo" e de "La Storia", ci appare in tutta
la sua naturalezza, non priva di piccoli tic, di ingenue propensioni esistenziali,
tali da farcela sembrare così vera, che ci par quasi di toccarla.
Umanissimo l'incontro, in chiusura, con Attilio Bertolucci, autore anche del
poema
"La camera da letto", che - sull'onda dell'entusiasmo montefoschiano
-, ci appresteremo subito a rileggere (anche perché "è un
libro che accoglie nelle sue mille immagini tutta l'ansia oscura della vita:
ma non basta. È un libro che restituisce la natura, il caldo, il freddo,
il dentro e il fuori, l'estate, l'inverno, i profumi, gli odori, ogni colore,
la campagna e anche il mare: ma no basta
").
Sì, il saggio di Montefoschi ci ha fatto veramente ritrovare passioni
e sogni, navigando nelle pagine di grandi libri e nella vita dei loro autori,
e ci ha anche spinto a riprendere in mano il saggio di Proust "Sulla lettura",
dando così completezza al desiderio di esorcizzare il demone della solitudine.
Grazia Giordani